Andrea Pubusa
Il vecchio Karl rimproverò i comunardi perché dopo aver
preso Parigi non hanno schiacciato i reazionari prendendo anche
Versailles. Il monito era di facile comprensione: se il nemico non
lo metti completamente fuori combattimento, se gli lasci anche una
piccola forza, può riorganizzarsi, proporsi la rivincita e ottenere
la vittoria finale. Anche il celebre Segretario fiorentino la
pensava allo stesso modo. Un avversario ancora vivo è un pericolo
permanente.
Perché scomodare i grandi per la vicenda Autostrade? Perché
l’accordo[1]
raggiunto nella notte tra martedì e mercoledì dal governo con
Autostrade per l’Italia sul futuro della concessione autostradale è
giudicato in vario modo. Si passa dalle celebrazioni, una grande
vittoria del governo, che sarebbe riuscito a imporsi su una delle
più potenti famiglie imprenditoriali italiane, alla demonizzazione,
soltanto grossi debiti e guai per i contribuenti. Tuttavia, una
cosa è certa: i Benetton sono ridimensionati, ma non morti. Questo
è il punto.
L’accordo, in sostanza, prevede che Autostrade per l’Italia (ASPI)
– società privata che gestisce in concessione quasi 3mila
chilometri di rete autostradale, controllata da una holding di cui
la famiglia Benetton è socia di riferimento – cambi radicalmente
assetto societario con l’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti, una
società controllata del ministero delle Finanze, e con un grosso
ridimensionamento della quota dei Benetton.. Costoro (tramite la
holding Sintonia, che è quella con cui detengono le quote in
Atlantia) scenderanno così intorno al 10 per cento delle azioni
totali della nuova società. Autostrade. ASPI sarà poi quotata in
borsa e lo Stato ne rimarrà socio di riferimento riprendendo quindi
il controllo di una grossa parte delle autostrade, a vent’anni
dalla privatizzazione.
Questo 10% però mantiene Benettono in partita. Cosa accadrà domani?
Non occorre essere preveggenti per capire che più o meno tutto
l’establishment punta ad un forte ridimensionamento dei 5
Stelle, che son gli unici ad avere tenuto ferma la barra in uno
scontro in cui Atlantia ha mostrato di avere appoggi un pò
dappertutto. Le forze moderate italiane hanno fatto di Autostrade
una trincea da mantenere a tutti i costi per una futura ripartenza
contro le tendenze ad una ripresa di un ruolo pubblico in esonomia.
In questa direzione il ridimensionamento dei musi gialli è un
passaggio obbligato: rimescolerà le carte, riaprendo completamente
la partita. Lì i Benettono e tutte le forze di cui sono parte
possono rialzare la testa. Se pensiamo che hanno sfrontatamente
avanzato pretese e ottenuto una trattativa col governio pur in
presenza della terribile responsabilità per una sciagura, che ha
commosso e indignato l’Italia intera, si compende che questa forza
è tale da potersi ancora rioganizzarsi e palesare in un quadro
politico fortemente mutato. E loro, se ne può essere certi, non
faranno prigionieri.
Ecco perché è innegabile la vittoria del governo e del M5S, ma per
i Benetton non è una disfatta irreversibile. Bisogna esserne
consapevoli.
Il tutto è più lungo e complicato di così – ci arriviamo – ma la prima cosa da sapere è che è ancora presto per giudicare davvero l’accordo: alcuni elementi fondamentali infatti devono ancora essere decisi. Ci si può però fare un’idea almeno approssimativa di come siano andate le trattative esaminando un po’ più approfonditamente quanto sappiamo.
Il contesto in breve
Per fare un rapidissimo
riassunto, la trattativa tra governo e ASPI serviva a decidere cosa
fare dopo il crollo del ponte Morandi nel 2018. Il Movimento 5
Stelle voleva assolutamente revocare la concessione ad ASPI, lo
aveva promesso più volte e aveva fatto una grande campagna politica
sull’importanza di estromettere la famiglia Benetton, accusata di
negligenze e mancati controlli, e quindi di essere responsabile del
crollo.
Ma il contratto di concessione prevedeva, in caso di recesso deciso dal governo, che lo Stato versasse una penale di 23 miliardi di euro: una montagna di soldi. Con il decreto Milleproroghe il governo aveva provato ad abbassare la penale a circa 7 miliardi, ma se si fosse proceduto con la revoca certamente si sarebbe finiti in un lungo contenzioso legale, con ASPI che avrebbe probabilmente tentato di ottenere l’intera somma prevista dal contratto. Il Partito Democratico, quindi, voleva una soluzione più cauta e di compromesso, per evitare questo rischio. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, più vicino al M5S che al PD, aveva tenuto una posizione un po’ altalenante tra le due.
Cos’ha detto la politica dell’accordo
Il PD
è quello che sembra più contento, perché ha ottenuto quello che
voleva: si è evitata la revoca e il rischioso contenzioso legale.
Il M5S è sembrato più diviso: qualcuno, come l’ex ministro dei
Trasporti Danilo Toninelli, ha pubblicato video entusiasti in cui
attribuisce al proprio partito il grande successo di aver
“cacciato” i Benetton dalle autostrade dicendo che questo avverrà
senza esborsi per lo Stato. Altri, come il ministro degli Esteri
Luigi Di Maio, si sono
detti soddisfatti[2]
ma sono sembrati un po’ più tiepidi, perché del resto a lungo
avevano assicurato e promesso che la concessione sarebbe stata
revocata. Il leader della Lega Matteo Salvini, invece, ha sostenuto
che a festeggiare l’accordo siano stati in realtà proprio i
Benetton.
Capiamoci qualcosa
La prima fase prevista
dall’accordo è quella determinante per capire chi ci guadagnerà, ma
è anche quella su cui ci mancano alcune informazioni fondamentali.
ASPI, infatti, sarà sottoposta a un aumento di capitale riservato:
cioè sarà aumentato il patrimonio sociale attraverso l’emissione di
nuove azioni che potranno essere acquistate da Cassa Depositi e
Prestiti, che arriverà così a controllarne il 33 per cento.
La vera domanda, però, è a quanto ammonterà questo aumento di capitale: cioè quanto sarà valutata ASPI da Cassa Depositi e Prestiti, e di conseguenza quanto dovrà versare la stessa Cassa Depositi e Prestiti per acquisire un terzo delle azioni. Come spiega oggi il Sole 24 Ore:[3]
Manca il prezzo. E dovrà essere questa cifra il parametro chiave per valutare l’operazione decisa dal consiglio dei ministri all’alba di mercoledì. Ma per come si erano messe le cose, l’analisi degli osservatori corre al confronto con l’ipotesi della revoca, e con la montagna di contenziosi e di rischi default che si sarebbe portata dietro. E la mediazione portata avanti dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri risolve su questo grossi guai.
Le stime che circolano di più[4] dicono che ASPI sarà valutata tra i 9 e i 12 miliardi: e quindi il 33 per cento delle azioni varrà tra i 3 e i 4 miliardi: i soldi che Cassa Depositi e Prestiti verserà nelle casse della società. È questa la cifra che il Sole paragona agli almeno 7 miliardi che lo Stato avrebbe dovuto pagare per revocare la concessione, e che però potevano arrivare fino a 23 se il contenzioso legale fosse andato male.
Contemporaneamente Atlantia, che adesso ha l’88 per cento delle quote di Aspi, dovrà venderne il 22 per cento a «investitori istituzionali di gradimento di Cassa Depositi e Prestiti»: i giornali parlano del fondo americano Blackstone e dell’australiano Macquaire. C’è sempre il problema che non sappiamo il prezzo a cui saranno vendute queste azioni, da cui dipenderà il guadagno di Atlantia e quindi quello dei Benetton: ma è indubbio che Atlantia incasserà dei soldi dalla vendita di queste azioni. L’accordo prevede però una clausola: Atlantia non potrà distribuire questa somma agli azionisti sotto forma di dividendi per un certo periodo (il Corriere della Sera parla[5] di almeno due anni).
Dopo questa riorganizzazione, quindi, Cassa Depositi e Prestiti avrà il 33 per cento e gli investitori istituzionali il 22 per cento, per una quota del 55 per cento. Ci sarà allora una quotazione in borsa di ASPI, e una parallela scorporazione di Atlantia da Autostrade: significa che la holding distribuirà ai suoi azionisti quel 33 per cento di azioni. I Benetton (in realtà la holding Sintonia, che è quella con cui detengono le quote in Atlantia) scenderanno così intorno al 10 per cento delle azioni totali della nuova società Autostrade. Gli altri attuali soci di Atlantia, per esempio Fondazione Crt e il fondo sovrano di Singapore, avranno a loro volta circa il 2 e il 3 per cento della società. Gli altri soci di Aspi, per esempio il fondo cinese Silk Road, avranno circa il 3,4 per cento. Il Sole 24 Ore ha realizzato un grafico che spiega meglio questi complicati passaggi.
(Sole 24 Ore)
Gli azionisti della nuova società Autostrade, compresi i Benetton attraverso la holding Sintonia, potranno a questo punto vendere o comprare una certa quantità di azioni, per aggiustare la propria partecipazione. Il valore che avranno le azioni sul mercato, però, è a sua volta ancora da stabilire.
A mancare, quindi, è soprattutto l’analisi che sarà fatta sul valore della nuova società Autostrade. Come spiega[6] il Corriere della Sera, «prima serve una revisione formale della concessione che fissi formalmente le tariffe e quindi renda possibile il calcolo sulla remunerazione degli investimenti». Su questo influirà l’applicazione della riduzione dei pedaggi inclusa nell’accordo tra governo e ASPI. Comunque l’incasso netto finale dei Benetton, stima il Corriere, «potrebbe oscillare tra i 3 e i 6 miliardi di euro».
Al bilancio dell’operazione vanno aggiunte ancora due cose: i 3,4 miliardi di euro che, secondo l’accordo, ASPI dovrà versare allo stato come risarcimento per il crollo del ponte Morandi; e le conseguenze potenzialmente molto gravi sull’economia italiana (e non solo) di un eventuale fallimento di ASPI e Atlantia conseguente alla revoca della concessione.
La questione dell’aumento in borsa
Ieri,
all’apertura delle borse, le azioni di Atlantia sono aumentate del
26,65 per cento: un comportamento che ha portato in tanti a
sostenere che i mercati abbiano valutato che la holding, e quindi
anche i Benetton, siano usciti vincitori dalla trattativa con il
governo.
Certamente la crescita dimostra una certa fiducia degli investitori nell’esito dell’operazione, ma bisogna tenere presente che nei giorni scorsi, in cui erano arrivate una serie di notizie poco incoraggianti per Atlantia, le azioni erano crollate. Nonostante quel balzo, le azioni di Atlantia non hanno nemmeno recuperato il valore che avevano a inizio mese. Inoltre le azioni di Atlantia erano scese moltissimo dopo il crollo del ponte Morandi, e di nuovo lo scorso febbraio per via dell’avvicinarsi della minacciata revoca: a inizio agosto 2018 valevano circa 25 euro, oggi sono intorno ai 14.
E i debiti di ASPI?
Questa è un’altro punto
ancora da chiarire. I debiti totali della società ammontano a oltre
9 miliardi di euro, di cui oltre 5 sono garantiti da Atlantia.
L’operazione a cui sarà sottoposta ASPI, tra l’aumento di capitale
e tutto il resto, potrebbe finire per modificare l’ammontare dei
debiti, che comunque continueranno a esserci e passeranno quindi ai
nuovi azionisti, Cassa Depositi e Prestiti compresa.
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References
- ^ accordo (www.ilpost.it)
- ^ si sono detti soddisfatti (www.corriere.it)
- ^ spiega oggi (24plus.ilsole24ore.com)
- ^ circolano di più (rep.repubblica.it)
- ^ parla (www.corriere.it)
- ^ Come spiega (www.corriere.it)
- ^ Hai dovuto andare su Google per capire questo articolo? (abbonati.ilpost.it)
- ^ Il Post cerca di spiegarti tutto, e di farlo bene. Di non dare per scontato, di usare le parole giuste, di far capire le cose confuse di cui leggi altrove. Senza bisogno di Google, senza farti spazientire. Se ci siamo riusciti e vuoi che continuiamo a farlo, abbonati: è la cosa giusta. (abbonati.ilpost.it)
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