Antonio Sassu
Antonio Sassu, autorevole economista dello Studio Cagliaritano, ci offre un bel quadro dell’opera di Sabattini economista, che arricchisce la riflessione sul ruolo culturale svolto da Gianfranco nel dibattito pubblico in Sardegna.
Gianfranco Sabattini era nato a Comacchio, non in Sardegna, ma
si sentiva profondamento sardo.
Una volta laureato a Cagliari in Economia e Commercio diventò in
breve tempo assistente alla cattedra di Politica Economica e
Finanziaria col professore Esposito De Falco. Qui a Cagliari svolse
la sua attività didattica e di ricerca, partecipando attivamente
alla vita della città e al dibattito culturale anche sulla stampa
quotidiana.
Aveva molto a cuore la Facoltà, il suo funzionamento, le sue
risorse che dovevano essere acquisite ex novo, in quanto la Facoltà
era stata costituita da poco. Sulla base dei modelli di alcune
Università italiane riorganizzò i servizi, in particolare la
biblioteca e a tal fine si fece nominare direttore del personale,
incarico inesistente sulla carta, così da giustificare di fronte ai
dipendenti le sue disposizioni, mettere ordine e costituire le
premesse per il buon funzionamento dell’organizzazione della
Facoltà stessa.
Ma il suo interesse principale era la ricerca. Gran parte delle sue
pubblicazioni sono relative all’economia, alla sociologia e alla
storia sulla Sardegna di cui era grande conoscitore. Gli argomenti
trattati sono vari, tutti molti rilevanti, mai banali anche quando
non c’è stata grande originalità. Sempre alla ricerca di uno
sviluppo isolano stabile e continuo, recentemente si era dedicato
con passione ad elaborare gli spunti di una nuova politica
economica dopo aver assistito alle forti delusioni delle precedenti
strategie a cui la classe nostrana ci aveva esposto. La Sardegna,
diceva sempre, ha competenze valoriali, professionali e
intellettuali in grado di garantire uno sviluppo sociale e civile
al pari di altre regioni se sono supportate bene dalle
istituzioni.
Lo Statuto regionale del 1948 ha attribuito alla Sardegna una
democrazia formale, non sostanziale. Non vi è stata una
integrazione sociale ed economica a livello internazionale, con le
altre regioni italiane, e neppure all’interno dello stesso
territorio regionale, anche per via del centralismo del governo.
Una democrazia allargata in cui i cittadini fossero coinvolti nella
partecipazione alle scelte nazionali e regionali dal basso
assicurerebbe un governo effettivo e una maggiore responsabilità.
Oggi, il principio di sussidiarietà, previsto a livello italiano ed
europeo, dovrebbe pretenderlo. Perseguire una politica di
integrazione sociale ed economica senza una definizione di questo
principio, quindi, è impensabile.
Già l’ economista Acemoglu e lo scienziato politico Robinson hanno
studiato con grande successo, non solo mediatico, i temi relativi
alle istituzioni e allo sviluppo economico. Essi si pongono una
domanda cruciale: perché alcune nazioni falliscono e altre, invece,
diventano sempre più ricche?
La risposta la trovano nella qualità e nel valore delle istituzioni
che i paesi si danno. Ci sono paesi che elaborano e applicano
istituzioni inclusive, in cui tutti partecipano alla produzione e
alla distribuzione della ricchezza, e paesi che predispongono e
attuano istituzioni estrattive, cioè, “estraggono” il beneficio
della ricchezza a vantaggio di pochi, senza che di esso ne goda la
popolazione che rimane ai margini della società. Nel caso di
istituzioni estrattive il beneficio, cioè, il reddito che viene
ricavato dalle attività del paese, è ripartito in modo iniquo fra
due gruppi sociali: molto del beneficio va ad una parte minoritaria
della popolazione, e poco del beneficio agli altri membri della
società. Siccome il reddito viene consumato e sperperato nel primo
caso, e utilizzato per la sopravvivenza nel secondo caso, manca
l’accumulazione del capitale, quindi, le nazioni non progrediscono
e decadono.
Bisogna distinguere istituzioni economiche e istituzioni politiche.
Queste ultime, facendo leva sui pubblici poteri, possono assicurare
per tutti l’esistenza dei diritti che le istituzioni economiche
garantiscono, nei casi concreti e secondo le dovute modalità.
Esiste un circolo virtuoso fra le istituzioni economiche e
politiche, così, allo stesso modo esiste un circolo vizioso fra le
istituzioni, o fra le istituzioni economiche e alcuni gruppi
sociali, che potrebbero far leva sulle istituzioni politiche a
diversi livelli.
La caratteristica più importante delle società inclusive è che
queste sono dinamiche, culturalmente vivaci e imprenditorialmente
attive, hanno l’obiettivo della innovazione e della concorrenza e,
pertanto, conseguono normalmente una continua crescita.
Nelle società “estrattive”, invece, la gran parte della
popolazione, non avendo alcun interesse a far crescere solo una
parte piccola della società, non avendo alcun beneficio dalla
concorrenza, dalla innovazione, dai servizi e spesso dalla scelta
del lavoro o dei diritti fondamentali, sarà meno propensa a fare
ulteriori sacrifici per risparmiare e per far crescere la nazione.
Le società estrattive, pertanto, prima o poi saranno destinate al
declino e al fallimento.
Sabattini sostiene che la nostra società regionale è essenzialmente
estrattiva, soprattutto a causa dei governi che abbiamo avuto e che
alla Sardegna non hanno concesso nulla, quindi è necessario porre
mano ad una revisione dello Statuto. Secondo Sabattini una
revisione del testo della Carta Costituzionale che potrebbe venire
incontro alle esigenze dei nostri territori, in particolare di
quelli dell’interno, potrebbe essere quella che prevede un
federalismo. A questo fine si è spesso battuto per una modifica del
rapporto con lo Stato e dello Statuto regionale.
Ma non basta. Il principio di sussidiarietà richiede anche la
partecipazione dei cittadini alla scelta e alla distribuzione delle
risorse. Esistono grandi disparità all’interno della regione e
certamente i comuni e le autonomie locali non partecipano alla
ripartizione della ricchezza secondo criteri più equitativi.
L’obiettivo della politica economica regionale dovrebbe essere
quello di superare la parzialità che l’ha sempre caratterizzata:
cioè, superare la staticità delle condizioni economiche dei
territori, “ attraverso la mobilitazione di tutte le risorse
materiali e personali in essi presenti” . Si tratta di
considerazioni che vanno ben al di là delle semplici riforme
burocratiche e anche una maggiore maturità di tutti. In Sardegna
sono le istituzioni estrattive che prevalgono e che si impongono.
Sarebbe necessario ripensare ad un nuovo modello di governance per
evitare lo spopolamento e la povertà delle popolazioni.
Il motivo per cui lo sviluppo locale continuerà a non avere
l’attenzione che meriterebbe è che la classe politica locale
continuerebbe a praticare una politica economica che le permette di
“estrarre” il maggior beneficio elettorale e non di migliorare le
condizioni di vita, di lasciare in continuazione le cose come
stanno.
Migliorare la vita civile e sociale della Sardegna era il più
grande desiderio di Gianfranco Sabattini, non solo una richiesta di
politica economica, tanto meno, solo per dire.
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