Tonino Dessì
In queste settimane anche l’emergenza creatasi per il rischio
epidemico del Covid-19 è diventata oggetto di manipolazioni per
mano di propalatori di fakes e di diffusori di psicosi (sono i veri
untori all’opera in questi giorni, destrorsi, sovranisti,
rossobruni, xenofobi di varia estrazione), finalizzate
esclusivamente ad alimentare polemiche politiche.
Credo che i fatti vadano tenuti presenti per quelli che sono
stati.
Le autorità cinesi hanno la responsabilità di aver frenato per più
di una settimana i segnali di allarme interni e di aver ritardato
l’allerta internazionale.
Non sappiamo quante persone abbiano in quei fatidici giorni
circolato nel mondo e perciò nemmeno quante in Italia portandosi
dentro e diffondendo il virus.
Se può darsi che perciò in Italia le misure siano scattate con una
seria frazione di ritardo, è pur vero che siamo stati il primo
Paese in Europa a bloccare tutti i voli da e per la Cina.
Non lo ha fatto la Corea del Sud, con i risultati che vediamo.
Se l’epidemia continua a diffondersi all’estero e dall’estero
questa misura non basterà.
Ma il problema non sembra affrontabile con la blindatura dei
confini.
Se guardiamo al caso della nave da crociera isolata in Giappone, ci
rendiamo conto che proprio quel caso di vera psicosi istituzionale
ha rischiato di creare una bomba biologica.
Pur di non far sbarcare i passeggeri sul territorio giapponese,
dove sottoporli immediatamente a controllo e a eventuale
trattamento, tremila persone son state tenute per giorni, malate o
sane che fossero, in un autentico incubatore di epidemia.
Questo non ha affatto scongiurato la diffusione del virus.
Anche la prospettiva della quarantena generalizzata va gestita con
accortezza.
Noi non siamo (gran parte dell’Occidente non lo è) uno Stato di
polizia.
Ma anche uno Stato di polizia come la Repubblica Popolare Cinese,
capace di isolare militarmente sessanta milioni di abitanti, ha
motivo di non ritenere risolutivamente efficace questo
isolamento.
I virus non riconoscono autorità politiche e non si fanno
trattenere dalle manette.
Persino l’improvvisata realizzazione di strutture-lazzaretto (si
guardi con attenzione alle riprese televisive dei cameroni
allestiti nel nuovo ospedale di Wuhan) non è detto che sia una
soluzione adeguata.
Tanto valeva (e può darsi che anche in Italia si debba ricorrere a
soluzioni di questo tipo, più circoscritte, ma più rapide ed
efficaci) ricorrere alle strutture sanitarie militari
specializzate, fisse, mobili e da campo.
Solo i sistemi dotati di capillari controlli sanitari territoriali
pubblici, tuttavia, sono in grado di fronteggiare e di contenere il
rischio epidemico, specie al fine della prevenzione.
Capacità di informazione, trasparenza e affidabilità delle
istituzioni da una parte e senso di responsabilità civica,
collettiva e individuale, sono le risorse che possono mantenere in
funzione un sistema-Paese in emergenza.
Sul primo terreno, se la tentazione allo sciacallaggio politico
verrà messa da parte (il che non significherebbe affatto rinunciare
alla vigilanza critica e alle proposte correttive), il contesto
italiano sta affrontando, a me pare, la situazione con serietà e
con efficienza.
Sul secondo terreno potrebbe emergere una non del tutto inedita, in
situazioni analoghe, capacità di disciplina e di coesione sociale e
culturale della cittadinanza.
Qui vedremo fino a che punto il tessuto civile italiano regge
ancora dopo un lungo periodo di tentativi consapevolmente volti a
disgregarne ogni risorsa solidale.
C’è da dire che nell’emergenza stanno venendo al pettine alcuni
nodi strettamente politici.
Il sistema sanitario pubblico e la protezione civile pubblica
italiana mettono in campo alta qualità professionale ed efficienza
strutturale nonostante le politiche finanziarie e occupazionali
prevalenti da diversi lustri abbiano fatto di tutto per indebolirli
e, per quel che concerne il primo, per ridurne l’universalità a
favore della privatizzazione.
L’articolazione istituzionale fra competenze statali e competenze
regionali si manifesta a sua volta come la più idonea ad affrontare
un’emergenza “a macchia di leopardo” a condizione di una leale
cooperazione coordinata fra i due livelli e di una comune
assunzione di responsabilità verso l’intera collettività e verso
tutti i suoi territori.
Il che smentisce sul campo tanto gli argomenti alla base delle
spinte verso una nuova centralizzazione, che hanno caratterizzato
in una certa fase la messa in discussione in toto delle autonomie
regionali, quanto le argomentazioni alla base delle spinte opposte
verso una accentuata differenziazione, che hanno piu recentemente
caratterizzato iniziative politiche a livello parlamentare, di
governo e di alcune istituzioni territoriali del Centro-Nord.
Mi pare che quanto sta avvenendo possa essere utile anche per
questo tipo di riflessioni.
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