Red
Canfora nel suo godibile volumetto sui cent’anni del PCI ci spiega la metamorfosi di questo partito, ci parla di ieri, di oggi e s’interroga sul futuro prossimo.
D. Perché la destra non decampa dai suoi caposaldi e li
mette in pratica, mentre la “sinistra” (esitante persino a
definirsi tale) non solo ha archiviato tutto il suo “bagaglio” ma è
ridotta ad attestarsi - quale nuova “linea del Piave” - sul binomio
liberismo-europeismo?
R. Luciano Gallino dava una risposta semplice e convincente: perché
le classi possidenti hanno vinto la battaglia (e forse la guerra)
“nella lotta delle classi”.
D. Eppure l’attuale semi-sinistra sa bene che
l’europeismo, brandito con retorica e fastidiosa insistenza, non è
che la figurazione romantica di una realtà intrinsecamente neo
liberista…
R. …Il suo fondamento, il cardine del
Trattato costitutivo della UE, è il divieto degli aiuti di
Stato alle aziende nazionali. E’ cioè la negazione perentoria
e di fatto ricattatoria di tutta una linea di condotta economica
che vedeva nella “partecipazione statale” e nella “economia mista”
la via da seguire.
D. “La metamofosi” può essere considerato un libro di
storia antica. Ciò perché intende riflettere sulla vicenda di un
partito politico. Si intende di un vero partito politico, il
Partito comunista “d’Italia” (poi “italiano”), nato nel 1921,
rinato, in forma totalmente diversa rispetto alle origini nel 1944,
cresciuto con ammirevole continuità, nel consenso elettorale nel
corso di un trentennio…
R. … fino i successi di ridonanza mondiale, conseguiti nel 1975 e
1976, addirittura il maggior partito italiano alle elezioni del
1984, “suicidato” dal ‘vertice’ appena cinque anni dopo, sciolto in
via definitiva dopo un anno abbondante di lenta agonia.
D. Nei secoli XIX e XX, nell’Europa continentale, i
partiti hanno avuto fattezze piuttosto simili, modellatisi via via
sull’assetto dei partiti socialisti e
socialdemocratici…
R. Parliamo di partiti protesi ad organizzare masse più o meno
grandi e a fare proselitismo nel nome di idealità e programmi.
D. Sono subentrati degli agglomerati ondivaghi che
rifuggono spesso dal nome stesso di “partito”…
R. …e prefrsiccono denominazioni fantasiose o puerili o
metafisiche: “En Marche”, “Forza Italia”, con la variante
dell’alleata-rivale “Fratelli d’Italia”, “Lega Salvini”, “M5S”,
“Verdi”, “Italia Viva” (?), “Azione”(!) ecc. Essi vivono per lo più
come alone intorno ad un leader, non hanno veri e propri programmi
di qualche respiro, per lo più fiutano l’aria, cioè le pulsioni
dell’opinione pubblica. Opinione a sua volta conquistata totalmente
da miti primordiali-consumistici. Hanno rinunciato a qualunque
funzione educativa…
D. Il PCd’I nasce dopo la sconfitta del
“diciannovismo”, culminato nell’occupazione delle fabbriche (finita
al ribasso nel 1920)…
R. Questa sconfitta segnò sin da subito il destino del neonato
(gennaio 1921) Partico Comunista d’Italia. Le due urgenze - come
affrontare il fascismo e quali obiettivi perseguire dopo la sua
fine - furono la ’scuola’ in cui si formò, o meglio si rifondò il
PCd’I, presto e significativamente divenuto “italiano” (PCI).
D. La lezione durissima del successo conseguito dal
fascismo portò, nella consapevolezza di una parte decisiva del
gruppo dirigente, alla archiviazione del modello e dello scenario
giacobino-leninista, alla opzione definitiva per “l’unità delle
forze antifasciste” e in particolare alla ricerca della
collaborazione con l’universo cattolico.
R. Artefice di questa trasformazione fu Palmiro Togliatti non
incline a scoprire fino in fondo ciò che non poteva non apparirgli
l’approdo, seppe - nei vent’anni della sua azione da leader
nell’Italia post-fascista - tenere insieme il vecchio (che non
poteva evaporare d’incanto) e il nuovo.
D. “Egli è stato - ha scritto di lui Eric Hobsbawn -
l’ultimo rappresentante della Terza Internazionale, il principale
architetto delle politiche post-belliche del PCI”, colui che ha
reso possibile, quasi da solo, la sopravvivenza e la fortuna
politica degli scritti di Gramsci”…
R. Non ha sesno dotare, con l’immaginazione, i personaggi storici
di virtù profetiche, ma non è azzardato ipotizzare che questo
leader (il quale fu ben più che un “tattico”) avesse intuito,
mentre imponeva al suo partito l’orizzonte del partito
nuovo, quali fossero gli sbocchi, quale l’approdo: il rientro
nell’alveo del faticoso ma necessario “gradualismo”; nella
cnsapevolezza, forse, del non potersi indefinitivamente, tenere
insieme prospettive divergenti, o meglio incompatibili.
D. E ora?
R. Oggi non è più tempo di recriminazioni o di puntualizzazioni
storiografiche. La domanda è una sola: potrà l’odierna
socialdemocrazia (fenomeno in prevalenza europeo) scoordinata e
frastornata, reggere alla prova della vittoria planetaria del
capitale finanziario?
P.S. Queste alcune delle domande e delle risposte di Canfora, ma il suo volumetto comprende tanto altro. Da leggere.
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