Gianna Lai
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Anche ad agosto ogni domenica un post sulla storia di Carbonia.
L’inizio il 1° settembre 2019[1].
Negli ultimi mesi del 1943 nasce a Carbonia, con un centinaio di
iscritti, la sezione del Partito socialista Italiano, primi
segretari A. Craig e poi l’attivista veneto G. Piloni. Subito dopo,
la creazione dei Nuclei Aziendali Socialisti in molti cantieri
della miniera, secondo le direttive nazionali, a rappresentare il
partito nei luoghi di lavoro. E poi le sezioni del
Partito Sardo d’Azione e della Democrazia Cristiana, durante i
primi mesi del 1944 che, mentre riproducevano in città gli
schieramenti nazionali, in particolare la seconda, e il
dibattito politico sul futuro dello stato democratico, stringevano
alleanze, rimaste spesso invariate nel corso degli anni, ora
intervenendo direttamente nel piano industriale dell’Azienda
Carbosarda, ora condividendone apertamente la politica di contrasto
rispetto ai comunisti e ai socialisti. Sempre conflittuale il
rapporto tra la sinistra e gli altri partiti a Carbonia, in
primo luogo col Psd’Az, nel quale sostanzialmente si individuavano
due anime fra loro antitetiche, quella progressista incline
all’alleanza con i socialcomunisti, minoranza legata ad Emilio
Lussu, che prponeva la fusione col partito d’azione
nazionale, e quella notabiliare legata ai gruppi dirigenti
della Carbosarda e agli stessi americani, antiunitaria e settaria
nei confronti della sinistra, che faceva capo a livello regionale
all’onorevole G. Battista Melis. Anche in città emergono
presto gli effetti contrastanti della politica interna del
movimento sardista isolano, tali da indurre Velio Spano, per
esempio, a definirla su Rinascita ‘espressione di vecchi
gruppi e di vecchie clientele, che avevano prosperato con il
fascismo o che al fascismo erano sopravvissute proprio in quanto
alleate ed agenti degli sfruttatori continentali delle masse
lavoratrici sarde’.2) Frequenti le intese, nel centro
minerario, fra il partito della Democrazia Cristiana e il
Partito sardo che, ancorati entrambi a vecchie concezioni e
ideologie, avrebbero quasi sempre espresso di sé non tanto
l’ispirazione popolare e interclassista, quanto il carattere
conservatore ed antioperaio dei ceti privilegiati, rappresentati in
città dai vertici della SMCS, cioè tecnici e dirigenti della
miniera. Insieme avrebbero portato avanti un duro attacco nei
confronti del movimento politico e sindacale dei lavoratori, appena
temperato dalla volontà di non inimicarsi del tutto quella parte
del loro elettorato che si componeva talvolta anche di operai della
miniera.
A Carbonia, dirigenti, tecnici ed impiegati della SMCS provenivano
quasi tutti dai partiti moderati, la DC e il Psd’Az, che
assumevano toni decisamente conservatori nell’adesione assoluta
alle scelte degli Alleati mentre, sempre più numerosi, gli operai
aderivano al Partito comunista e, in parte, a quello socialista,
pur non mancando tra loro gli iscritti al Psd’az e alla DC, partiti
popolari decisamente più forti nelle campagne, tra i
contadini, dove avrebbero a lungo conteso l’egemonia allo stesso
Partito comunista.
Certo difficile pensare che in città il tentativo di costruire un
quadro politico nuovo potesse prescindere dalla indeterminatezza
della situazione nazionale e internazionale: definito in
un possibile contesto futuro di pace e di democrazia, con la
guerra al nazifascismo si doveva tuttavia anccora fare i conti ogni
giorno, l’Italia ormai venuta meno, nella ‘coesistenza conflittuale
di tre governi, il regno del sud, la Repubblica di Mussolini, il
Comitato di Liberazione, e due regimi di occupazioni,
angloamericani al Sud, tedeschi al Nord’, come dice Giovanni
De Luna ne ‘La repubblica inquieta’48. Un’Italia ‘disunita che
sembrava riproporre la frattura Nord-Sud, come quella che
riassumeva e sovrastava tutte le altre’, ma dove, tuttavia, ci si
sforzava con fatica di intravvedere, in quel poco di ripresa
delle zone appena liberate, in quella importante unità nuova della
lotta partigiana, già un paese diverso, in grado di uscire
dal caos del conflitto e per il quale bisognava essere pronti,
cominciare a ritessere la vita e a ridare significato al lavoro.
Probabilmente animata da tale convinzione la nascita dell’intesa
unitaria delle sinistre anche a Carbonia, secondo gli accordi di
Francia, Partito comunista e Partito socialista, poi
rinnovata nel 1943, e ancora caldeggiata dagli stessi dirigenti ad
Iglesias, nella risoluzione del 1^ Congresso regionale sardo del
PCId’I. E sempre in tale direzione anche la nascita in città
dei nuovi organismi di base, il Comitato di unità d’azione,
volto a promuovere il dibattito sul futuro politico del paese,
sostenendo la proposta di un governo del dopoguerra, emanazione del
Comitato di Liberazione Nazionale. E poi il Coordinamento delle
sinistre per la lotta in miniera, gruppo ristretto e paritetico
chiamato a svolgere un ruolo di dirigenza politica nelle
assemblee degli iscritti, durante le vertenze, gli scioperi, o la
ratifica di accordi e di rinnovi contrattuali. In ambedue i casi si
trattò di iniziative particolarmente vitali, ed inoltre
aperte alla collaborazione di tutti, perché la prima, dopo la
scissione dei sardisti operata da Emilio Lussu, fu in grado di
aprire anche al Psd’Az socialista, mentre la seconda, uscita poi
quasi indenne dalla crisi del Fronte popolare, grazie alla
forte intesa che ne legava i componenti, avrebbe portato avanti
negli anni una vera e articolata proposta alternativa allo
smantellamento delle miniere.
Attraverso il Patto di unità d’azione si venne quindi consolidando,
anche a Carbonia, un saldo legame tra PCI e PSI, già visibile
fin dai primi tempi, nel fraterno appoggio assicurato dai comunisti
ai socialisti quando essi aprirono la loro sezione in città.
Al centro le indicazioni dei dirigenti politici nazionali e
regionali, primo fra tutti Velio Spano, che così scriveva,
ancora su Rinascita, per sollecitare il partito, in Sardegna,
a promuovere, insieme ai socialisti, nuovi processi politici e
nuove azioni di intervento unitario, ‘E’ necessario che le
masse sarde si orientino verso il Partito comunista, il quale,
strettamente unito al Partito socialista è il solo che possa
veramente assolvere la necessaria funzione di unificazione
degli operai, dei contadini, dei pastori e degli intellettuali di
Sardegna. Il solo che possa dare alle giuste rivendicazioni
autonomistiche delle popolazioni sarde, il loro necessario
contenuto sociale e progressivo’. Un’intesa e una collaborazione
che avrebbe riportato il dibattito cittadino dentro contesti
regionali più ampi, nuova unità fra tutti i lavoratori, per andare
verso nuove alleanze tra operai e contadini. E la condizione della
Sardegna nell’ambito della questione meridionale come
questione nazionale, secondo la cultura gramsciana dei
Quaderni, pubblicati da Palmiro Togliatti negli anni
immediatamente successivi.
Si tratta di una riflessione che proviene, in particolare, dal
gruppo dirigente del PCI sardo, impegnato in quel periodo ’su un
duplice terreno, come dice con grande chiarezza Girolamo Sotgiu,
che era quello delle lotte dei braccianti e dei contadini poveri
senza terra e quello delle lotte degli operai delle zone
minerarie: a partire dal 1946 nei bacini minerari si sarebbero
posti infatti problemi complessi di riconversione
produttiva e fu il Partito comunista a porsi alla testa di un
movimento che ebbe poi i momenti di maggiore intensità nelle lotte
per la terra, dal 1948 al 1950′ 3).
E ne parla Nadia Gallico Spano, durante l’intervista concessa nell
aprimavera del 1988, dirigente comunista giunta in Sardegna
all’inizio del mese di aprile, su incarico della direzione
nazionale del Partito, per verificare le condizioni
dell’organizzazione nelle città più importanti dell’isola e
per contribuire alla costruzione di un rapporto fra Movimento
femminile nazionale e movimento sardo. Guspini e Carbonia i primi
luoghi in cui lavorò. Responsabile femminile della Federazione di
Roma, avrebbe fatto poi parte dell’Assemblea Costituente e della
Camera dei Deputati. E ne parla Renato Mistroni e Antonio
Saba, dirigente del PCI e sindaco di Carbonia negli anni sessanta e
Aldo Lai, capostazione delle Ferrovie Meridionali Sarde, dirigente
del partito socialista e, in quel tempo, segretario della Lega
autoferrotranvieri della CGIL, otre che membro di Commissione
Interna, anch’egli poi sindaco della città negli anni
sessanta. Perché, sono i comunisti naturalmente, forti di una
struttura ben determinata e di un certo numero di quadri in grado
di assicurare presenza continua, a definire linee
politiche di intervento e ad avere un rapporto più diretto e
organizzato con le masse popolari. Decisamente meno numerosi i
socialisti, sia in termini di dirigenti, sia in termini di
presenza fra i minatori, i loro nuclei aziendali non avrebbero
certamente avuto nel tempo la stessa rfesistenza delle cellule
comuniste. Non dimenticando mai come, in questo importante lavoro
di riaggregazione sociale, a capo del movimento è ancora un
gruppo abbastanza ristretto di dirigenti di recente
formazione, impegnato certo, prima di tutto, a sollecitare il
contributo attivo di militanti e simpatizzanti, ma sempre
fortemente consapevole della impossibilità di
raggiungere in modo efficace tutti quei lavoratori che, a migliaia,
partecipano alle assemblee e alle manifestazioni pubbliche. Lo
ribadiscono i tre intervistati appena citati, così ricostruisce
quel processo, in particolare, Renato Mistroni: ‘durante le
affollatissime assemblee di partito o di sindacato, era
impossibile dare la parola a più di venti persone in una sera,
tantissimi volevano intervenire, spinti da quella nuova aria di
riscatto e di cambiamento, che induceva anche a riporre grande
fiducia nei quadri e negli attivisti di partito. Ed era così aperto
il dialogo, franco e sincero, da non sentirsi intimiditi, i
lavoratori, durante le riunioni di sezione o nelle assemblee
pubbliche, neppure alla presenza dei dirigenti più importanti,
regionali e nazionali, che spesso giungevano in città a parlare di
politica’. Un tratto forte dei minatori di Carbonia, messo bene in
luce anche da Nadia Gallico Spano e da Aldo Lai, così abituati a
prendere la parola in sezione, i minatori, così impegnati
nell’organizzazione delle manifestazioni pubbliche in
piazza: migliaia i partecipanti fin dagli anni 1944-1945,
importanti sempre i relatori, da Emilio Lussu del
Partito d’Azione a Giuseppe Sargat, socialista, al ministro
comunista delle finanze Antonio Pesenti, nel governo Bonomi.
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NOTE
1)Vedi L’Unione Sarda, 11 dicembre 1943
2) Vedi L’Unità del popolo sardo nella lotta per al sua redenzione,
cit.
3) Vedi G. Sotgiu, Storia della Sardegna durante il fascismo, cit.,
pag.319
17) Ministri e dirigenti nazionali a Carbonia - 9 agosto 3
E parlano, Renato Mistroni e Aldo Lai, di come la presenza
dei dirigenti nazionali a Carbonia contribuisse al radicamento di
vincoli solidaristici forti, primo vero sostegno agli organismi di
rappresentanza, e di come il dibattito si animasse, in quelle
occasioni, sui temi della resistenza popolare al nazifascismo e
sulla nuova Italia democratica pronta a nascere. E dicono
come trovassero collocazione in quel quadro ampio, la città e la
miniera, a partire dalle proposte di riconversione
economica della zona, come soluzione ai problemi dello sviluppo
territoriale, già nel Convegno del 1944, il primo organizzato su
tali temi dal comunista ingegner Russo, dipendente della SMCS e
dall’avvocato Marco Giardina, futuro segretario della Camera del
lavoro, si riferiva all’uso dei sottoprodotti del carbone in
impianti speciali. Seguito poco dopo dall’importante ed articolato
intervento di Emilio Lussu, poi ministro dell’Assistenza
bellica nel governo Parri e per i rapporti con la Consulta nel
primo governo De Gasperi, ……. durante la sua visita al
‘complesso della Carbonifera Sarda’. Lussu è ospite della
presidenza ACaI a Villa Sulcis, nel luglio del 1944 e
‘accompagnato dall’ingegner Bruno Sanna, dal direttore generale
ingegner Arminio Piga, e dai direttori dei due gruppi, Nord e
Sud, ingegneri Giorgio Carta e Vincenzo Busonera’, ispeziona le
miniere, che poi avrebbe di nuovo visitato in ottobre. Ed apre
nuove e del tutto inedite prospettive, ipotizzando la costruzione,
nel Sulcis, di ‘un’azienda popolare……una grande azienda
socializzata, dove minatori, tecnici e impiegati, in una sola forza
costruttiva, daranno vita al più grande bacino carbonifero del
Mediterraneo’. Come leggiamo su L’Unione sarda del 9 luglio 1944,
che vi dedica un servizio ampio e approfondito, ‘davanti a una
folla acclamante’, Lussu parla di fascismo, di guerra e della
prossima fine di Hitler. E ancora soffermandosi sul futuro del
Sulcis, ‘noi tutti trasformeremo in collaborazione permanente di
lavoro e di pace questa immensa azienda industriale, concepita come
autarchia di guerra: essa era stata concepita per produrre
indirettamente corazzate e cannoni, ebbene noi la ricostruiremo per
dare lavoro agli agricoltori e par dare alimento alle nostre
ferrovie, nel libero commercio, per dare il via alla pace’. E
prosegue Lussu, ‘io penso in questo momento quale sarà la Carbonia
di domani. Sarà Carbonia trasformata da azienda imperiale in
azienda popolare. Carbonia dei minatori e degli impiegati e dei
tecnici, assieme in una sola forza costruttiva in cui ognuno sia al
suo posto, come le varie membra del corpo umano sono unite per dare
movimento e vita al corpo stesso. Carbonia oggi è un’azienda
statizzata, burocratizzata, diretta da molto lontano, oltre il mar
Tirreno. I dirigenti guardano qui col binocolo e vedono molto poco.
Carbonia oggi è un’azienda statale, una grande azienda statale.
Essa dovrà diventare una grande azienda statalizzata, questo è
l’avvenire di Carbonia ….. E quello che ho detto di Carbonia,
grande azienda di domani, diretta qui, costituita qui, accompagnata
qui dal lavoro comune degli operai e dei tecnici, è un principio di
autonomia. Autonomia è vita, è libertà è controllo di popolo’. E’
questa una visione forte, quasi avveniristica, del futuro della
città, che incontra ‘la piena approvazione da parte dei grandi
partiti di massa, socializzazione di Carbonia e
gestione diretta dei lavoratori, attraverso le forme della
cooperazione’, secondo L’Unione Sarda del 3 agosto 1944, valida
alternativa alle previsioni del Commissario ingegner Sanna.
Che, dopo aver porto a Lussu i saluti dell’ACaI e della
SMCS, in atteggiamento del tutto diverso di fronte al
ministro, rispetto ai comportamenti abituali tenuti con gli operai,
svolge la sua relazione sullo stato delle miniere, denunciando
‘errori, abusi e sperperi di ogni specie’, commessi durante il
fascismo’. E denunciando pure che l’ACaI fu allora ‘covo di
profittatori e avventurieri’, fino a paventare per
l’immediato dopoguerra, la smobilitazione dei pozzi e la fine del
carbone sulcis: ‘e io voglio mettere fin d’ora in guardia tutti i
miei collaboratori sulle manovre subdole e pricolose, perché
pagate, di alcuni gruppi industriali e minerari italiani, di quei
gruppi, cioè, che nel ventennio vollero l’affermazione del
fascismo, di quei gruppi che per i loro bassi interessi tutto
faranno, tutto tenteranno perché Carbonia cada’
Interessante anche la breve storia dell’Azienda, appena delineata
nel discorso del commissario Sanna, e il quadro di azione in cui
essa si muove, ‘L’ACaI svolgeva prima dell’armistizio
attività di ricerca in Toscana e in Albania; io venni eletto
in aprile commissario per l’ACaI, nelle regioni
liberate, e commissario della Carbosarda nell’isola…e potei
rilevare un passato di errori abusi e sperperi di ogni specie, su
queste aziende, che occorre portare oggi, e siamo già in questa
via, ad una attività sana, economicamente e moralmente. La
Commissione mineraria alleata di Carbonia, costituita da tecnici
minerari e meccanici di valore, ci affianca lealmente e io son del
parere che tutte le attività ACaI in Sardegna, e cioè Carbosarda,
Ferrovie Meridionali sarde, Istituto Case Popolari, ACaI bonifiche,
Stabilimento per la distillazione a Sant’Antioco, vengano riunite
in un unico ente, con sede a Carbonia, lasciando a Roma solo un
ufficio di rappresentanza e di collegamento coi ministeri 1).
Per giungere poi, in questa prospettiva di grande apertura, a
toccare il vero tasto dolente della condizione del
Sulcis, la fine di ogni rapporto tra Azienda e
amministrazione della città, come scelta immediata, la fine di ogni
‘interferenza da parte dell’ACaI e della SMCS nella
amministrazione pubblica di Carbonia’. La Società mineraria, si
disse in quell’occasione, avrebbe dovuto ‘estraniarsi del tutto
dalla vita politica della città, e solo interessarsi di problemi
tecnici, cedendo in particolare tutto il territorio sotto il suo
controllo al Comune e non costruendo più altre case SMCS’. Solo
così Carbonia sarebbe diventata città libera, con una
popolazione finalmente stabile, come scrive Salvatore
Fois in ‘Carbonia città libera’, L’Unione Sarda 27 luglio 1944,
ancora in prosecuzione del discorso di Emilio Lussu. Carbonia
libera dalla SMCS: ‘ritengo poco morale che l’Ente più direttamente
soggetto ai diversi tributi comunali, debba comunque interessarsi
alle faccende amministrative del Comune stesso… E’ necessario che
la SMCS lasci al Comune la libertà di amministrare il bene
pubblico…E’ necessario creare una popolazione stabile, e molto vi è
da fare in questo senso, perché buona parte dei cittadini hanno
ancora la mentalità degli avventurieri, per i quali Carbonia
rappresenta un qualunque punto di appoggio per fare danari con
qualunque mezzo, pur che sia rapido. Di questa gente di tutte le
risme e di tutte le categorie la città ne ha ancora molta,
mentre quelli che non sono riusciti, persistono a ritenere
possibile, o probabile, ogni qualsiasi avventura che li rimandi
pingui di danaro ai loro paese d’origine’. E ancora in
prosecuzione, il 3 agosto 1944, ‘Verso la socializzazione di
Carbonia’, lo stesso autore entra nello specifico della proposta,
dandole un suo significato, ‘per la socializzazione di
Carbonia, che non vuol dire statalizzazione, non si può
intendere il modello delle grandi aziende statali russe’, piuttosto
’suddivisione delle diverse attività affidate a singole cooperative
di lavoratori con amministrazioni proprie, facenti capo ad un
consorzio, con compiti di controllo tecnico-amministrativo’. Onde
porre fine alla ‘turba di appaltatori e di profittatori e ad ogni
altra interferenza di natuta politica’ 2). Per poi riprenderlo
ancora Emilio Lussu, il discorso su Carbonia, nel successivo
viaggio in città, il 5 ottobre, come leggiamo su L’Unione Sarda del
7 ottobre 1944, precisando di nuovo i termini della socializzazione
aziendale e della gestione operaia, nonchè l’assoluta autonomia
della città rispetto all’ACaI.
E frequentavano Carbonia il ministro comunista Antonio Mario
Pesenti, ministro delle Finanze nel secondo governo Bonomi, Ieri il
ministro Pesenti a Carbonia, titolava l’Unione sarda del 31 marzo
1945, che di nuovo interveniva sullo stato delle miniere di
Carbonia e di Iglesias 3) e il socialista Giuseppe
Saragat, celebre il suo atto d’accusa contro la dirigenza SMCS,
‘una mentalità fascista….che, in omaggio alle gerarchie di
valori, considera il produttore operaio un paria e
l’azzeccagarbugli, o il ruffiano, come della gente perbene’ . Per
giungere poi alle presenze via via sempre più numerose dei
dirigenti Velio Spano, Renzo Laconi e Nadia Gallico Spano. E
a ncora Lussu e Romita nel luglio 1945, tra comizi e conferenze di
partito 4).
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NOTE..
1)Vedi L’Unione Sarda, Emilio Lussu a Carbonia, 17 luglio
1944.
2)Vedi Salvatore Fois, L’Unione Sarda, l’Avvenire di Carbonia, 21
luglio 1944 e Carbonia città libera 27 luglio 1944 e verso la
socializzazione di Carbonia, 3 agosto 1944. Vedi L’Unione
Sarda, 7 0ttobre 1944 e L’Unione Sarda, 21 settembre 1944
3) NOTA Vedi Relaz trimestrale regia prefettura gab1168 gennaio
marzo ‘45, cart 17 fasc 63-(64)
4) luglio 45, Regia pref ca gab 2632 cart 17, fasc 64).
18) Il Comitato di Concentrazione Antifascista a Carbonia, riflette i caratteri dei Comitati sardi -16 agosto 4
Dai primi incontri fra le forze politiche cittadine prese corpo
anche a Carbonia, nell’ottobre del 1943, il Comitato di
Concentrazione Antifascista, formato da sette membri rappresentanti
dei partiti democratici, che avrebbe dovuto procedere innanzitutto
alle epurazioni. Così, come in tutto il Mezzogiorno liberato, sulla
base di accordi stabiliti a livello generale, fra
le persone fortemente compromesse col regime in città, sarebbe
stata esaminata la posizione di due fascisti, Pasqui e Cioni, già
ingegnere della Carbosarda quest’ultimo, entrambi ’squadristi e
sciarpa littoria’. Nei confronti dei quali non ci sarebbe stato
alcun provvedimento di carattere censorio, nè tantomeno di natura
punitiva, come da qualche parte invece richiesto, specie tra gli
operai, cui il comportamento dei due, durante il fascismo, era a
tutti ben noto: sede nuova assegnata loro, la direzione mineraria
di Bacu Abis. Mentre si registrano ancora episodi ‘di manifesta
adesione al disciolto partito fascista, parole inneggianti al suo
capo: a Sant’Antioco, arrestati i responsabili e sono in corso
provvedimenti per l’invio al campo di concentramento di quei
maggiori responsabili fascisti, che ancora tentano di svolgere
attività politica’ 1)Nota (Prefettura ca 29.2.44 gab 411/1.ll’on
Ministero Interno a Salerno cart 17, fasc 63.
E poi, tra gli impegni del Comitato, apertura del dialogo
sulla città e i suoi gravi problemi, la questione degli
approvvigionamenti, la mancanza di abitazioni per centinaia di
lavoratori. Una sorta di governo provvisorio, in quanto emanazione
dei Comitati di Liberazione Nazionale, come spiega bene Renzo
Laconi, da poco rientrato in Sardegna ed eletto Commissario della
Federazione del Partito comunista di Sassari: ‘Nei primi
mesi del ‘44 questo organismo si chiamava ancora
Comitato di Concentrazione Antifascista, ma poi la rapida
evoluzione della situazione politica e militare, il passaggio
delle forze dell’antifascismo dalla posizione di resistenza
all’attacco e all’aperta battaglia, li tramutò in Comitati di
Liberazione’ 2). E L’Unione Sarda del 24 ottobre 1944
precisava: ‘Strumenti di coesione e di coordinamento tra i partiti
nella lotta comune per la ricostruzione’, essi tuttavia ‘non devono
ingerirsi nelle attività delle amministrazioni comunali, essi
devono essere informati quando si tratti di questioni politiche o
abusi o irregolarità’. E c’è incompatibilità tra la carica di
assessore e quella di membro del Comitato di Liberazione, ‘che
vigila sul disagio della popolazione per prevenire ogni forma
di violenza, e vigila anche nei confronti delle
amministrazioni locali’. E poichè si trattava di un organismo
unitario, i cui esponenti venivano liberamente espressi
dai singoli partiti, sarebbero stati sopratutto i rappresentanti
comunisti, Pirastru, Suella e Mangiardi, a battersi per far
assumere al Comitato un ruolo e un indirizzo ben definito, che
tuttavia gli Alleati occupanti avrebbero sempre stentato a
riconoscergli: formulare proposte sui problemi della città, sulla
composizione delle Giunte municipali, sui nominativi dei sindaci.
Impegnato come era, il partito, in tale direzione, fin dal Primo
Congresso regionale sardo di Iglesias nel 1944, secondo una
linea politica che così viene riassunta da Il compagno,
numero unico del 13 aprile 1944: ‘E’ stato anche deciso di
continuare a collaborare nei Comitati di Concentrazione
Antifascista con gli altri partiti, specialmente con quelli di
sinistra, Partito Socialista Italiano e Partito d’Azione, per
intensificare la lotta contro ciò che ancora rimane del fascismo
nelle istituzioni politiche ed economiche del paese’3).
Ed a Carbonia comunisti e socialisti si impegnarono per fare
del Comitato ‘un nuovo organo autonomo e diretto della nuova
democrazia popolare’, così come già si era espresso Renzo Laconi,
nell’appena citato ‘Sui Comitati di liberazione’. In effetti
il suo antifascismo è già fortemente sottolineato con la
designazione di Andrea Nicoletti a sindaco della città,
‘perseguitato e al lungo confinato dal fascismo: poiché è stato
reso noto pubblicamente ieri che il sindaco da qualche giorno è
stato destituito, per non avere mai saputo tutelare con
imparzialità e giustizia gli interessi della popolazione,
preferendo soltanto i suoi particolari interessi commerciali,
chiediamo alla giunta comunale, che lo sostituisce temporaneamente
in attesa del nuovo sindaco, se può darci chiarimenti in merito’.
Cui segue la proposta del nome di Andrea Nicoletti a sindaco, che
sarà poi approvata dalla Giunta comunale e dal prefetto stesso.4)
NOTA Vedi L’Unione Sarda del 29 luglio 1944 e del 10 agosto
1944.
Così, tra l’avvicendarsi in modo alterno dei commissari prefettizi
in città, le giunte municipali avrebbero avuto a capo, come
sindaci, il ragionier Guido Scano nel maggio del 1944, il dottor
Andrea Nicoletti, in agosto, e poi Ottavio Cucca a dicembre,
ancora su proposta del Comitato comunale inviata al Prefetto di
Cagliari.5)
Riferimento politico più diretto per il Comitato cittadino è
il Comitato provinciale di Concentrazione antifascista, che
collabora con i rappresentanti del governo in Sardegna e con il
Comando militare alleato. Ma quanto la sua presenza sia tenuta in
considerazione da dette autorità, lo dimostra la visita del
prefetto a Carbonia, messa in risalto dall’Unione Sarda del 24
novembre 1944, che incontra il Commissario prefettizio, il
comandante del gruppo dell’arma, il commissario di pubblica
sicurezza e poi visita il Maggiore Max E. Mathws, capo divisione
della Commissione alleata per le miniere di Carbonia e il tenente
colonello Price, capo del Comando provinciale e della Commissione
alleata, infine il Commissario regionale alleato, colonello
Pennycuick. Solo a margine l’incontro col Comitato di
Liberazione cittadino, in tal modo confermandosi ‘il
carattere moderato dell’antifascismo locale e il terreno arretrato
sul quale inevitabilmente si veniva costruendo il postfascismo’,
come sostiene molto bene Girolamo Sotgiu. Che, riportando le
parole di Luigi Pirastu, allora vicedirettore de l’Unione Sarda,
così prosegue, nella sua ‘Storia della Sardegna durante il
fascismo’: ‘tutto si svolge come prima, con le solite
famiglie che dominano il paese, con il maresciallo dei carabinieri
che guarda dall’alto la mischia volgare e con il popolo tenuto in
disparte, come se queste cose non lo riguardassero’ 6) La stessa
preoccupazione in Renzo Laconi, ancora nello scritto Sui Comitati
di Liberazione: dopo le prime attese e le speranze iniziali, una
nascita stentata, perché ‘non vi era stata in Sardegna
durante il fascismo nè organizzazione, né vera lotta illegale’. Ed
i Comitati rischiano di diventare allora ‘il risultato di un’intesa
personale tra esponenti del vecchio antifascismo,….organi di
raccordo con le autorità locali’ che, oltre ad escludere le masse
dal governo della città, svolgono solo funzioni burocratiche.
Ed ancora, ‘chiesuole, senza contatti con il popolo, per la loro
propensione alla collaborazione acritica’. Molto duro nella critica
anche Giuseppe Dessì, ‘poichè i Comitati non potevano essere
riconosciuti se tutti i partiti non vi erano rappresentati…..i
buoni villici si mettevano l’accordo tra loro….. Ne sortì, in
genere, qualcosa di estremamente artificioso e fittizio’, perché a
rappresentare i cittadini non erano ‘uomini stretti da un’idea’, ma
individui legati ‘da interessi personali o di gruppo’. Ed
ancora, ‘i Comitati di concentrazione non avevano affatto
l’autorità che avrebbero dovuto avere e furono tenuti in poca
considerazione sia dai prefetti, sia da tutti gli enti di diritto
pubblico, nonché dalle autorità militari’ 7)
Anche a Carbonia quella condizione di incertezza, come la definisce
lo storico Mario Vinciguerra, nel saggio ‘Da Badoglio
all’esarchia’, parlando dei Comitati nelle città del Mezzogiorno
liberato: quello ’stato di cose artificioso e illusorio, poiché il
popolo non era stato interrogato, né certo poteva essere chiamato
alle urne prima che la nazione avesse completamente
riacquistato l’indipendenza, cosa che avvenne solo a gennaio del
1946, con la cessazione dell’amministrazione militare alleata
nelle province settentrionali 8). Tale sembrava il destino dei
Comitati nell’Italia liberata e in Sardegna. E sempre scarsamente
collaborativo, anche a Carbonia, il rapporto tra le sinistre
e gli altri partiti, non intendendo, sardisti e democristiani,
valorizzarne le funzioni. A Carbonia la fine della guerra al centro
del dibattito sull’Italia futura e sul futuro della miniera,
che già delinea gli schieramenti cittadini in opposizione fra loro.
Sopratutto di fronte alle prime rivendicazioni operaie,
fortemente intrecciate, questa volta, alla lotta contro il mercato
nero, l’aumento dei prezzi e per il miglioramento delle razioni
alimentari. Lo scenario è quello di un tessuto sociale cittadino
così devastato durante la guerra, che va ora lentamente
ricostituendosi, per prepararsi alla pace e al buon governo,
già provando a praticarlo attraverso il Comitato di Liberazione.
Almeno secondo gli intenti delle sinistre, che non avrebbero
tuttavia trovato risposta adeguata e sufficiente nei rappresentanti
delle altre forze politiche, più propensi, semmai, ad accordarsi
con l’azienda e a subire le imposizioni degli alleati
occupanti.
Gianna Lai
References
- ^ 1° settembre 2019 (www.democraziaoggi.it)
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