Gianfranco Sabattini
Il “geodiritto” riguarda l’impiego del diritto e del
potere statuale al fine di regolare la condotta degli attori
economici internazionali, in funzione delle specifiche situazioni
generate dalla competizione a livello del mercato globale; in
particolare, esso qualifica il modo di condurre la politica
economica in termini di “capitalismo politico”, sulla base delle
cui caratteristiche Stati Uniti e Cina si stanno confrontando, per
legittimare l’egemonia mondiale del loro modello organizzativo, sia
del sistema sociale che di quello economico.
Il capitalismo politico, secondo Alessandro Aresu, autore di un
ponderoso saggio, dal titolo “Le potenze del capitalismo politico.
Stati Uniti e Cina”, può essere definito sulla base di alcune
caratteristiche essenziali, quali: una “compenetrazione di economia
e politica in un tutt’uno organico”, che nei sistemi autoritari
coincide con la preminenza di un partito-Stato, mentre nei sistemi
democratici si caratterizza per l’intervento nella prefigurazione
della politica economica dello Stato profondo, ovvero delle
burocrazie della sicurezza e dei poteri d’emergenza; l’uso politico
del commercio, della finanza e del progresso tecnologico, al fine
di proteggere le industrie strategiche nazionali dalla concorrenza
di quelle straniere; l’uso del geodiritto a difesa dell’economia
nazionale, in funzione della sua espansione in condizioni di
sicurezza. Sulla base di queste caratteristiche, la politica
economica è intesa come “branca della scienza dei legislatori e
degli statisti”, per cui il capitalismo politico esprime una realtà
in cui le forze di mercato e la pervasività dello Stato concorrono
a realizzare l’equilibrio tra la “mano invisibile” di smithiana
memoria e la “mano visibile” dell’intervento statuale. Quali sono
le forze che hanno sorretto la formazione del capitalismo
politico?
Per Aresu, la nostra epoca è caratterizzata dalla crescente forza
economica dei Paesi astaci, in particolare della Cina che, pur
dichiarandosi Paese socialista, pratica un capitalismo
configurabile come “economia socialista di mercato”. Su questa
caratterizzazione dell’economia della superpotenza asiatica si è
sviluppata un’ampia e variegata letteratura, che però non ha
approfondito il motivo per cui, nonostante l’adozione del mercato
per la regolazione del funzionamento del suo capitalismo, la Cina
sia rimasta un Paese autoritario; ciò in quanto l’evoluzione della
sua economia non è avvenuta sulla base delle leggi storiche dello
sviluppo economico, ma con un allargamento del mercato che ha
favorito la formazione di una classe di “capitalisti politici”,
disposti ad operare all’interno di un ambiente istituzionale
espresso da una sistema di relazioni intercorrenti tra forze di
mercato, Stato e Partito; un ambiente che ha assicurato
all’economia cinese un’eccezionale capacità di crescita durevole
nel tempo.
L’idea di “un’eccezionalismo economico-giuridico cinese” è stata
sviluppata e studiata, considerando la struttura economica della
Cina, non come “capitalismo di Stato”, ma come un sistema in cui al
contributo dello stato alla crescita delle imprese private si
affianca il supporto del Partito comunista cinese nelle imprese di
proprietà dello Stato. Vari fattori caratterizzano il funzionamento
del capitalismo cinese: innanzitutto la posizione preminente
dell’Agenzia governativa “State-owned Assets Supervision and
Administration Commission of the State Council”, che controlla
tutte le attività produttive di proprietà dello Stato”; in secondo
luogo, il controllo finanziario attraverso il quale lo Stato
incoraggia la competizione e l’innovazione; in terzo luogo, la
“traduzione del controllo in azione”, attraverso la “National
Development and Reform Commission”, il cui ruolo “non si limita
alla predisposizione e all’indicazione del piano quinquennale, ma
[concorre anche] ad adattare i prezzi necessari a raggiungere i
risultati”; quindi, l’integrazione verticale dei conglomerati
produttivi sotto la diretta influenza del Partito comunista cinese;
inoltre, il fatto che il Partito eserciti il proprio controllo
attraverso le nomine dei responsabili della conduzione delle
attività economiche; infine, la libertà riconosciuta alle imprese
private, nonostante i controlli, di affidarsi al mercato nel
competere con le imprese statali.
L’insieme di queste caratteristiche hanno fatto dell’economia
cinese una struttura tutt’altro che statica, su cui basare la
rinascita del Paese e il radicamento del convincimento che il
“rapporto organico tra sviluppo economico, innovazione autonoma e
consolidamento del potere del partito comunista cinese” costituisca
il presupposto per il ritorno della Cina sulla scena del mondo
all’altezza della sua storia. A tal fine, la crescita economica
serve alla Cina per accumulare i capitali necessari a finanziare la
realizzazione all’estero di infrastrutture con finalità
strategiche: in primo luogo, per estendere all’estero la capacità
di assorbimento dei prodotti della propria esuberante capacità
produttiva; poi, per meglio rispondere ad esigenze politiche
interne ed esterne al Paese; infine, per indirizzare gli
investimenti verso l’”alta tecnologia”, a supporto sia del
potenziamento del mercato interno, che dell’espansione dei mercati
esteri.
Dopo la crisi della Grande Recessione del 2007/2008, la strategia
espansionistica cinese ha provocato,la reazione degli Stati Uniti
che, preoccupati per la sicurezza del proprio impero economico,
hanno fatto anch’essi ricorso alla “scienza del legislatore” come
strumento di politica economica internazionale. In tal modo,
l’America ha adottato un atteggiamento verso l’esterno fondato
sull’assunto che, di fronte alla “minaccia” cinese, la mano
invisibile di Smith avesse perso la sua originaria efficacia.
L’elemento importante per la difesa dei propri interessi nel mondo
è stato individuato dagli Stati Uniti nel ruolo che l’innovazione
svolge come motore della crescita economica.
Da questo punto di vista – sostiene Aresu – anziché Smith, il più
significativo economista è stato individuato in Joseph Scumpeter,
per il quale il capitalismo diventa incomprensibile se si manca di
tener conto della sua natura dinamica, che sovrasta ogni altra
considerazione: senza evoluzione, innovazione e trasformazione non
può esistere capitalismo, mentre un “capitalismo stabilizzato è una
contraddizione in termini”. La posizione di Schumpeter sulla
centralità dell’innovazione – continua Aresu – ha influenzato, dopo
il 2007/2008, le politiche pubbliche degli Stati Uniti, nel senso
che, in risposta alla minaccia cinese, essi hanno mobilitato le
loro risorse economiche e politiche per produrre innovazione. In
questa mobilitazione va identificato il capitalismo politico degli
Stati Uniti, sorretto dal loro apparato scientifico-militare. Si
tratta di un’identificazione che ha comportato che tutti gli
organismi civili in stretti legami con quelli militari non
potessero che “essere subordinati, in termini decisionali e di
finanziamenti, agli apparati deputati alla sicurezza
nazionale”.
In questa prospettiva, ogni attività produttiva è stata dichiarata
strategica secondo criteri stabiliti direttamente dal Pentagono,
per cui ogni attività è stata coordinata con le decisioni di
politica economica per ragioni di sicurezza nazionale. Il
capitalismo politico statunitense si è così radicato in un reticolo
di relazioni che ha trovato la sua giustificazione – osserva Aresu
– “nella sicurezza nazionale e nella mobilitazione delle capacità
tecnico-scientifiche” a salvaguardia delle capacità di avanzamento
dell’America nel mondo. Il capitalismo politico statunitense,
quindi, ha dato origine a un modo di funzionare dell’economia
“tutt’altro che piatto”, mediante il quale, “sotto la patina
dell’estensione dei mercati” è stata ingaggiata con la Cina una
guerra tecnologica, combattuta con le armi del geodiritto.
Questa interpretazione delle attuali relazioni tra Washington e
Pechino smentisce l’”immagine ingenua della globalizzazione”,
fondata sulla presunzione che, con il dinamismo della propria
economia, la Cina dovesse diventare il motore della crescita
dell’economia americana, mentre agli Stati Uniti, con la propria
attività d’investimento, non rimaneva che il ruolo di motore delle
riforme del sistema politico-economico cinese, autoritario per sua
natura. In realtà, le relazioni tra le due superpotenze, anziché
tradursi in un’interdipendenza pacifica delle loro economie, sono
evolute nel senso di un’interdipendenza armata, fondata su una
presunta “pace capitalista”. In questo contesto, poiché
l’interdipendenza è stata resa incerta dal coinvolgimento della
sicurezza nazionale, è stato inevitabile che essa diventasse una
contrapposizione armata, esercitata “solo da chi possiede armi, e
non solo mera capacità di mercato”.
Graham Allison, in “Destinati alla guerra. Possono l’America e la
Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?”, ha reso celebre
l’interpretazione dei rapporti tra i capitalismi politici di Cina e
Stati Uniti attraverso l’evocazione della “trappola di Tucidide”,
operando il parallelismo tra l’ascesa di Atene (che ha motivato
Sparta ad avere tanta paura da rendere inevitabile la guerra) e
quella di uno dei due capitalismi politici che spingerebbe l’altro
a nutrire paura, come Sparta, e dunque, a ricorrere al confronto
armato.
Quella tra gli attori del capitalismo politico sarebbe però,
conclude Aresu, una guerra particolare: nel “gioco” della
contrapposizione armata, Cina e Stati Uniti sarebbero entrambi
imprigionati in “una trappola di geodiritto”. Per via della natura
di questa trappola, la guerra tra i capitalismi delle due
superpotenze, per la conquista del primato mondiale, sarebbe anzi
già in atto; si tratterebbe, però, a parere di Aresu, di un
conflitto combattuto con gli strumenti del diritto, che
connoterebbe in modo nuovo la competizione, attraverso il
coinvolgimento totale degli apparati politici statuali. Non è
detto, pero, sempre secondo Aresu, che il confronto tra Cina e
Stati Uniti, in atto all’interno del “campo di battaglia” definito
dal geodiritto, “porti necessariamente il pianeta sull’orlo della
deflagrazione nucleare”.
Sarà pure come dice Aresu; resta tuttavia il fatto che il confronto
tra i due capitalismi politici per la conquista del primato
economico nel mondo, in quanto fondato sul potenziamento della
forza militare, concorra a rendere attuale e sempre più probabile
che la “trappola di Tucidide” possa scattare a danno dell’intera
umanità. Ciò perché, nella conduzione della politica per l’egemonia
economica globale, i calcoli delle burocrazie politico-militari,
sia della Cina che dell’America, possono risultare imperfetti,
quando (come lo steso Aresu riconosce) impattano con la realtà.
Se ciò dovesse accadere, a nulla servirebbero le pressioni del
resto del mondo, in quanto privo della necessaria forza
economico-militare per dissuadere i due capitalismi politici
contrapposti ad evitare un possibile olocausto globale. Mancano
infatti altri reali antagonisti in grado di esercitare una
possibile dissuasione, perché quelli solo potenzialmente esistenti
non esprimono capitalismi politici compiuti: la Russia è dotata
della forza militare, ma non di quella economica, mentre l’Unione
Europea è dotata della forza economica, ma non di quella militare;
condizioni queste che rendono assai probabile il pericolo che la
“trappola di geodiritto” si trasformi in tutto e per tutto nella
“trappola di Tucidide”.
- SARDA NEWS -
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