Andrea Pubusa
Little Richard ha fatto
irruzione nella mia vita che avevo forse 14 anni e nulla fu come
prima. Era ancora il tempo di “Vola colomba”, di “Mamma” e di altre
sdolcinatezze e si affacciavano i nostri urlatori, Toni Dallara,
Mina, Joe Sentieri e i Celentano e Gaber. Per noi, il piccolo
gruppo di amici a Carbonia, Little, con la sua animalità, stava ai
rockers bianchi come la pantera sta ai gatti. Non ci fu più
partita. Neanche Elvis gli stava vicino. Era la musica nera che ci
coinvolse e non ci abbandonò più, ci portò al blues e al jazz. Al
paragone di quello del grande Little il “Tutti i frutti” di Elvis
ci pareva inascoltabile, privo di nerbo e di forza, così come la
replica di qualche successo di Fats Domino. I Beatles ci parvero
una filiazione geniale degli Everly Brothers, fighetti, tutto
coretti e violini. Meglio i Rolling stones, più vicini al blues, ma
lontani, anch’essi dai blusman neri.
Per noi ragazzi era difficile sentire Little e gli altri. Quei
dischi di neri non circolavano e alla radio bisognava sintonizzarsi
di notte con qualche stazione straniera. Solo qualche militare,
specie i marinai, di leva portavano quei dischi, che la facevano da
padroni nei nostri balli in qualche povera casa operaia di
periferia. Serate senza pretese, ogni domenica dalle 17 alle 20
(poi le ragazze andavano via) ma quanto divertimento e
movimento!
Grazie, Piccolo Grande Richard.
Ecco un ricordo su Ansa di Paolo Bamonti[1]
“Wop-bop-a-loo-mop-alop-bom-bom … Tutti frutti Aw Rutti”. Uno
scat geniale, un urlo singhiozzante e carico di Swing che racchiude
la furia e la gioia del Rock’n’ Roll, sillabe senza significato che
compongono uno degli incipit di canzone più famosi della storia. In
questa sorta di formula magica si racchiude la vita di Little
Richard, uno dei Grandi Padri Fondatori del Rock’n'Roll, morto a 87
anni. Un personaggio fuori da ogni schema, con una vena di pura
follia, che, come tutti gli artisti di colore dell’epoca, ha sempre
giustamente lottato contro il mancato riconoscimento del loro
contributo alla nascita di quella nuova musica che ha cambiato il
mondo. All’anagrafe di Macon, Georgia, era registrato come Richard
Wayne Pennyman, ma fin da bambino il suo soprannome è stato Little
Richard. Un’infanzia difficile in un ambiente religiosissimo che
non lo ha protetto dagli atti di bullismo subiti per i suoi modi
effeminati e la sua andatura sghemba provocata da una congenita
differenza di lunghezza delle gambe.
Il piccolo Richard si è accostato alla musica in chiesa e ha fatto
una dura gavetta musicale nel circuito della musica nera. La sua
fortuna è cominciata quando è andato a registrare a New Orleans nel
leggendario studio di Cosimo Matassa, uno dei santuari del
Rock’n'Roll, per registrare con gli stessi musicisti di Fats
Domino. Nel settembre del 1955 incide “Tutti Frutti” e cambia la
storia. Quel brano, così carico degli umori più potenti del Rhythm
and Blues, è un successo immediato. Ma com’era abitudine
nell’America segregata dell’epoca in cui la musica nera aveva una
classifica a parte, il brano fu affidato a cantanti bianchi e così
anche Little Richard fu colpito dalla nemesi di Elvis: una volta
inciso da “The King” per il pubblico “Tutti Frutti” diventò un
brano di Elvis. Come per altri padri del Rock’n'Roll, come Fats
Domino o Jerry Lee Lewis, il periodo d’oro di Little Richard è a
cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60: incide capolavori come “Long Tall
Sally”, “Slippin’ and Slidin’”, “Good Golly Miss Molly”: il suo
stile era unico. Suonava il piano con furia, aveva un look
eccessivo ed ambiguo che ha fatto da modello per generazioni,
cantava con un tono acutissimo, come se fosse sempre sull’orlo di
una di quelle crisi che travolgono le donne delle cerimonie gospel,
esibiva la sua ambiguità sessuale. Una figura dirompente con una
carica erotica disturbante per l’America puritana dell’epoca. Sui
suoi brani è stato costruito l’edificio del Rock’n'Roll ma anche
Little Richard non ha avuto quello che meritava. A complicarsi la
vita ci ha pensato anche da solo, soprattutto dopo essere diventato
un divo. Crisi religiose che lo hanno portato a lasciare la musica,
abusi di droga, una vita sessuale piuttosto complicata che gli ha
dato anche qualche problema con la Giustizia. Ha contribuito a
inventare il Rock’n'Roll ma non ha saputo adeguarsi ai tempi che
cambiavano, anche se le sue intuizioni sono state decisive per gli
sviluppi futuri della musica Black.
Una vita costellata di incontri, follie, episodi incredibili: fare
con lui un discorso coerente non era facile. La sua voce si
impennava in una risata inquietante come quando, ai tempi in cui
arrivò a Roma come ospite del “Fantastico” di Celentano, e ammise
la verità su uno degli errori più clamorosi della sua carriera di
band leader: il licenziamento di Jimi Hendrix. “La verità è che ero
geloso: mi rubava la scena, avevo capito subito che un genio”.
Risata. All’epoca, Jimi, che era ancora un oscuro session man in
cerca di gloria, aveva raccontato una versione molto più prosaica:
non aveva ricevuto il compenso pattuito. Molti soldi, pare, gli
arrivarono da Michael Jackson che, come aveva fatto per quelle dei
Beatles, si era comprato i diritti delle sue canzoni. Nonostante
gli eccessi e i clamorosi Up and Down della sua vita leggendaria
(raccontava che in una delle sue conversioni buttò in un lago tutti
i suoi gioielli) ha continuato ad esibirsi fino a poco tempo fa,
anche se aveva qualche problema di salute. Con Little Richard se ne
va un altro dei padri fondatori del Rock’n'Roll, un artista che ha
scritto la colonna sonora di un’epoca in cui la musica annunciava
al mondo che usciva dalla guerra che i giovani erano i nuovi
protagonisti della società. E che, nella sua follia, è stato anche
uno dei primi ad aver intuito la potenza dell’immagine.
References
- ^ Ecco un ricordo su Ansa di Paolo Bamonti (www.ansa.it)
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