Andrea Pubusa
Per combattere il coronavirus
tracciamento delle persone tramite telefonini carte di credito e
simili? Ci sino molti sedicenti esperti che ammettono senz’altro
queste limitazioni sulla base di ragionamenti di buon senso e di
pura opportunità (prima la salute poi la riservatezza). Credo sia
un modo errato di porre il problema. Il paramaetro dev’essere
sempre e solo la Costituzione.
Vediamo la questione.
Per combattere i contaggio da molte parti si richiama il modello
della Corea del Sud. In cosa consiste? La Corea
del Sud[1] ha puntato innanzitutto
su test a tappeto (come
vuole fare il Veneto di Zaia[2]) e poi sull’uso della
tecnologia con applicazioni mobili e attingendo a Gps o carte di
credito per creare una mappa del contagio, utile anche per
allertare le persone che potrebbero aver incrociato un infetto, di
cui nessuno saprebbe nome e cognome (ma tutti saprebbero dove è
stato e chi lo conosce potrebbe ricostruirlo).
“La Corea ce l’ha fatta. Questa è una misura è un po’ lesiva della
privacy, ma efficace”, dicono soprattuto i medici. Che
gli igienisti espimano la loro opinione è utile ed è anzi
necessario. Bene ha fatto Paolo Bonanni, ordinario di Igiene
all’Università degli Studi di Firenze, ad espimere il proprio
parere da medico e a fini di sanità pubblica: “tracciare tutti i
contatti dei positivi può aiutare a contenere il contagio, anche in
questa condizione di semi reclusione in cui siamo”. Mi pare invece
che valichi il campo di sua competenza o possa valicarlo quando
afferma: “Si tratta di una misura eccezionale che dovrebbe essere
svolta solo per un determinato periodo». Non me ne voglia il prof.
Bonanni e con lui tutti gli igienisti, opinionisti e giornalisti,
la parte giuridica e costituzionale non è affar loro.
Da questo punto di vista non è esente da critiche neanche l’amico
Antonello Soro (ottimo dermatologo come ebbi modo di constatare
quando, ai tempi del Consiglio regionale, mi curò un fastidioso
eczema). Cosa dice Soro, garante della riservatezza?
Interpellato dal Corriere, Soro pone giustamente al centro delle
sue cautele la la necessità inderogabile di tutela
dell’anonimato: “unicamente di dati aggregati e anonimi”. “Laddove,
invece, prosegue, si intendesse acquisire dati identificativi,
sarebbe necessario prevedere adeguate garanzie, con una norma ad
efficacia temporalmente limitata e conforme ai principi di
proporzionalità, necessità, ragionevolezza”.
Ecco il punto occorre una norma. Ma qui sorgono due problemi: la
Costituzione ammette queste limitazioni? Attenzione!, se non c’è
una base costituzionale non c’è norma che tenga, la libertà non può
essere violata. Molti opinionisti pensano che se la Carta non
prevede una disciplina sulla limitazione di una libertà, questa si
può restringere a piacimento con atto amministratico (decreto,
provvedimento delle autorità di pubblica sicurezza e simili). E
invece è vero il contrario: se la Carta nol consente espressamente,
la libertà non può essere compressa.
Si obietterà, ma nel 1946-47, quando l’Assemlea costituente
costruiva la nostra legge fondamentale telefonini, carte di credito
e simili diavolerie erano di là da venire. Ed è vero. Tuttavia ci
sono disposizioni che possono consentire di risolvere il problema;
possiamo esaminare la questione partendo dall’interesse tutelato:
“la sanità e l’incolumità pubblica“. Ebbene, ci sono quasi
in sequenza due articoli: l’art. 16 e l’art. 14, che se ne
occupano. Il primo consente limitazioni per motivi di sanità e
sicurezza pubblica con legge e “in via generale”. La seconda, per
le stesse ragioni, annette “accertamenti e ispezioni”, in
deroga alla libertà domiciliare, ma tali atti devono essere
“regolati da leggi speciali“. Quindi, volendo disporre
controlli su telefoni e carte a tutela della sanità e incolumità
pubblica, occorre una legge speciale e in via generale (non ad
personas o a gruppi).
Gira, gira, come si vede, si torna sempre alla legge, al fondamento
legislativo, come richiesto anche per la madre di tutte le
emergenze: la guerra (art. 78). C’è dunque una riserva di
legge, la quale rende illegittimo qualsiasi intervento che non sia
disciplinato puntualmente dal Parlamento con legge preventiva. In
tema di libertà infatti la riserva di legge è - pacificamante -
assoluta e non ammette regolazione dell’esecutivo neanche
in casi straordinari di necessità e urgenza.
Quindi errano coloro (Soro compreso) che parlano di norma
provvisoria, alludendo ad una disciplina di rango non legislativo.
No. Ci vuole una legge ordinaria. Una legge generale, che regoli la
materia in tutti i casi di emergenza sanitaria o di sicurezza
pubblica, da definire puntualmente nella legge medesima.
Solo in sede legislativa “andrebbe effettuata un’analisi
dell’effettiva idoneità della misura a conseguire risultati utili
nell’azione di contrasto”, cui si riferisce Soro. E sempre il
Parlamento deve indicare la proporzionalità fra la
geolocalizzazione dei cittadini e la effettiva utilità ai fini
della tutela della sanità e sicurezza pubblica. Sempre in quella
sede devono essere ponderati col bilancino gradualità, anonimato e
destino dei dati.
Ha ragione l’amico Soro: “Non è il tempo dell’approssimazione e
della superficialità”. Non lo è sopratutto nello stabilire con
chiarezza, Costituzione alla mano, ciò che si può fare e ciò che è
precluso. Lo so, si rischia di apparire pedanti nel richiamare
continuamente i profili costituzonali, mentre il virus imppazza,
mietendo vite. Attenzione però! In questi giorni stiamo formando
una prassi costituzionale, che come precedente vale per il
futuro. Le regole costituzionali - ha detto uno che se ne intendeva
- si fanno in tempi tranquilli per i tempi difficili. Oggi Conte ci
traquillizza. Ma domani? Chi ci sarà al governo domani?
References
- ^ La Corea del Sud (www.corriere.it)
- ^ come vuole fare il Veneto di Zaia (www.corriere.it)
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