Gianna Lai
Ancora una puntata domenicale della travagliata storia di Carbonia. Persa la guerra, con la cadutas del fascismo, si estingue l’Azienda carbonifera taliana - ACaI. Il primo post il 1° settembre[1].
Così lontana dai mercati della Penisola la produzione di Sulcis,
e così pericolosamente esposte nel Mediterraneo le navi da
trasporto ai bombardamenti alleati, cessano i collegamenti tra la
Sardegna e la Penisola a partire dalla seconda metà del 1942,
quando già 70mila tonnellate di Sulcis, superando il limite massimo
della capienza delle carboniere, giacciono tra i piazzali di
Sant’Antioco e quelli della miniera, a consumarsi per
autocombustione. E sempre più esposti al pericolo i luoghi e
le persone, essendo visibilissimo di notte il carbone che
brucia, tale da rendere del tutto inutili le
norme in vigore, di oscuramento, nei porti e nelle
città. Lo spezzonamento del 31 gennaio 1943, presso la
laveria di Serbariu, produce le prime fughe dalla citta.
All’8 marzo del 1943 possiamo far risalire il primo blocco totale
delle lavorazioni in miniera per un’intera settimana, manca il cibo
e il legname per l’armatura delle gallerie: in ferie retribuite i
13.000 operai, 7.500 dei quali il direttore generale della SMCS
Vaccari allontanò subito dopo, per contenere la produzione
entro le 30.000 tonnellate mensili. Inizia così la smobilitazione
in massa della miniera, abbandonata anche dai suoi dirigenti,
che prosegue incessantemente nei mesi di marzo e
di aprile, fino a giugno. I successivi spezzonamenti del 14 maggio
e del 27 agosto, direttamente nel centro della città, impongono
infatti di ridurre ancora la produzione, che nel precedente mese di
gennaio aveva raggiunto appena le 15mila tonnellate di carbone
estratto. Ridotti orma gli operai a 2860 unità, bloccato il settore
edilizio, a seguito della requisizione dei mezzi di trasporto, si
annuncia a breve la paralisi dell’intero bacino: il problema più
grave resta la manutenzione della miniera, specie dopo
l’allagamento dei pozzi di Cortoghiana, una volta compromesse anche
le installazioni meccaniche dell’ACaI, a marzo, nel porto di
Sant’Antioco, dai bombardamenti dell’aviazione americana, come si
legge nel Promemoria dei carabinieri al prefetto, in data 17 giugno
1943, ‘Danni gravissimi al porto di Sant’Antioco, insieme al grave
danneggiamento dei mercantili ancorati in banchina’. Così, quegli
ultimi 2680 dipendenti SMCS, tra cui 84 amministrativi, 106
impiegati e tecnici, vengono allontanati nel corso
dell’estate, mentre al 12 maggio già risultano interrotti i servizi
e sospesi in Comune anche termini e prescrizioni. Mario Carta e
Vitale Piga gli unici dirigenti restati in città, a partire
dal mese di luglio, con lo scioglimento degli organi
amministrativi SMCS, ‘pur avendo avuto cura di conservare il
più possibile i quadri essenziali per la necessaria ripresa’, le
miniere chiudono. Fino alla riapertura, negli ultimi mesi
dell’anno, ad opera degli americani, che al 18 settembre hanno già
occupato l’intera isola.
L’8 luglio 1943, Vitale Piga, già segretario dell’Unione
provinciale della confederazione fascista lavoratori industria,
nonché podestà cittadino fino all’aprile del 1942, è il nuovo
presidente della SMCS a Carbonia, consiglieri il dott. Paolo
Bompard, l’ing. Mario Carta, l’on.Vittorio Tredici, l’ing.Virgilio
Nurchis, cui seguono Bartolomeo Nobili e Edmondo Del Bufalo.
E quando il regime cade, travolto dagli esiti della guerra e dal
sollevamento degli operai in sciopero nelle industrie del
nord Italia, le autorità regionali cui dovranno fare capo, d’ora in
poi, i dirigenti della miniera di Carbonia saranno il generale
Basso, comandante delle forze armate sarde, con sede a Bortigali, e
il prefetto Pietro Bruno, designato Alto Commissario civile,
con sede ad Ozieri. Mentre i tedeschi hanno già abbandonato
l’isola, scontrandosi, in particolare a La Maddalena,
nel corso della loro fuga, con i reparti dell’esercito
italiano e della Marina che, opponendo strenua resistenza agli
invasori, vedranno cadere 23 dei loro militari ed un giovane
civile, sopraggiunto a sostenerli in quella impari battaglia.
Anche il destino dell’Azienda Carboni Italiani e della
Società Mineraria Carbonifera Sarda è ormai segnato, i debiti di
quest’ultima nell’ordine degli 80 milioni di lire, 217 i milioni da
versare all’ACaI: gli organi amministrativi ACaI, SMCS, ARSA,
IACP, FMS e della Societa di sviluppo e impiego carboni
italiani, vengono sciolti con decreto 20 novembre 1943 ed il gruppo
ACaI, per decisione del Commissario ministeriale
Dolcetta, trasferito al Nord, al seguito della Repubblica di
Salò, nel territorio occupato dai tedeschi. Sotto il cui controllo
diretto viene posta l’Azienda, essendo inglobata la Croazia nel
Reich dall’ottobre del 1943: continuo l’avvicendarsi di
presidenti e commissari straordinari nominati dal governo di
Salò, Petretti, Dolcetta, Carnevali. Ancora ricerche
e studi nella zona del vicentino, presso piccole miniere
private, coltivazione della miniera di Pedena, presso Pola,
di Pian dei Corsi, presso Ende Ligure e di Cludinico a Ovaro,
presso Udine, ma saranno i bombardamenti alleati ad imporre
subito dopo continui trasferimenti dell’ACaI da Vicenza, per
decisione del ministro delle finanze e dell’economia corporativa, a
Malo, a Imbersago e infine a Brivio, in provincia di Como, il 26
ottobre del 1944. E quando più difficile resta anche ‘affrontare i
pericoli della guerra partigiana’, la rottura dei contatti
tra le zone minerarie del Veneto e dell’Istria costringerà
l’azienda al blocco definitivo di ogni attività, così dalla
Relazione del commissario Carnevali a Brivio, ‘l’attuale stato di
guerra e le dolorose conseguenze hanno portato a interrompere
bruscamente e completamente ogni attività della nostra
società, eliminando anche ogni possibilità di collegamento’.
Si chiude questa prima parte della storia delle miniere di Carbonia
con l’invasione tedesca dell’Italia, la ‘catastrofe del nazismo’,
come la chiama Enzo Collotti, che mira ‘a scardinare il
sistema degli stati dell’Europa Centrorientale’. Fermata
dall’Unione sovietica, russi ed esercito angloamericano ne
determineranno la sconfitta finale, ma nel mentre, dopo
l’armistizio dell’8 settembre, si estende all’Italia del nord, con
la Repubblica di Salò, il sistema del terrore, in continuità con
quello già inaugurato dal fascismo negli anni venti.
References
- ^ 1° settembre (www.democraziaoggi.it)
- SARDA NEWS -
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