Gianfranco Sabattini
Il n. 2/2019 di “Micromega” pubblica il testo trascritto del
dibattito (dal titolo “Pensare un’alternativa”) svoltosi presso la
Fondazione Feltrinelli nel dicembre del 2018, tra Olivier
Blanchard, già capo economista del Fondo Monetario Internazionale
tra il 2008 e il 2015, e Emiliano Brancaccio, docente di Politica
economica presso l’Università del Sannio. Il dibattito, moderato da
Pietro Raitano, ha avuto ad oggetto la discussione sui limiti del
“modello economico” che ha sotteso il processo di globalizzazione
delle economie nazionali; in particolare, il fatto che il “modello
mainstream”, sia ritenuto responsabile dell’insorgere a livello
mondiale di gravi problemi, quali le disuguaglianze distributive,
la crescente disoccupazione e la questione ambientale.
A parere del moderatore, si impone, perciò, la necessità che il
“pensiero accademico”, che ha accompagnato sinora il modello
economico privilegiato, sia in qualche modo ripensato. In questo
senso, conclude Raitamo nella sua introduzione, il confronto tra
due “posizioni distanti”, quali sono appunto quelle di Brancaccio e
di Blanchard, dovrebbero risultare utili per capire quale sia la
via migliore “per cercare di risolvere in maniera più efficace” di
quanto non sia stato fatto sinora, le problematiche che affliggono
le economie di mercato economicamente avanzate.
Inizia Brancaccio, autore del volume intitolato “Anti-Blanchard”,
nel quale sono proposti strumenti di governo dell’economia
alternativi a quelli offerti dall’economista francese nel suo
famoso manuale “Macroeconomia”. Sebbene il titolo del libro -
precisa Brancaccio – prospetti il confronto “con una sola persona,
di fatto tenta di richiamare una disputa di carattere molto più
generale […]: vale a dire la disputa, oggi sommersa e un po’
dimenticata, tra la concezione prevalente della teoria e della
politica economica e una visione alternativa, un paradigma
economico alternativo”. Il richiamo al confronto con Blanchard è
giustificato da “una straordinaria congiuntura di avvenimenti”, che
si compendiano nel periodo del suo incarico al Fondo Monetario
Internazionale; periodo che “corrisponde al tempo di fuoco della
grande recessione internazionale, della prima crisi dell’eurozona e
dell’avvio di nuove tendenze protezionistiche nel mondo.
Il suo ruolo di capo economista è da tener presente – afferma
Brancaccio - anche perché il “Fondo”, sotto la sua guida, ha
operato significativi cambiamenti nelle sue analisi e nelle sue
proposte di politica economica, come stanno a dimostrare la recita
del “mea culpa” sulla sottostima dei moltiplicatori fiscali,
l’apprezzamento della funzione degli investimenti pubblici in
deficit come fattore di crescita economica, la valutazione positiva
dell’adozione di forme di controllo dei movimenti di capitale, il
riconoscimento dell’esistenza di un legame inverso tra
disuguaglianze distributive e crescita economica, e altro
ancora.
Ma al di là di questi cambiamenti, ciò che ha motivato Brancaccio a
scrivere il volume “Anti-Blanchard” è il fatto che, nell’approccio
teorico dell’ex direttore del “Fondo” alla struttura dei suoi
modelli di analisi, il “paradigma prevalente di teoria e politica
economica faccia capo alla tradizione dell’equilibrio economico
generale intertemporale neoclassico”; un’impostazione teorica la
cui caratteristica fondamentale è l’assunto che le forze spontanee
del libero mercato siano sufficienti a determinare “quei livelli
del tasso d’interesse, del tasso di profitto e del salario reale”,
idonei a portare l’economia in una situazione di “equilibrio
naturale”, ovvero in una posizione efficiente, corrispondente “a
livelli di produzione e di occupazione che garantiscono la
stabilità dei prezzi”.
Secondo Blanchard, dunque - sostiene Brancaccio - il libero gioco
delle forze di mercato “dovrebbe determinare quell’unica,
particolare distribuzione dl reddito tra salari, profitti e
interessi” in grado di garantire un “livello efficiente della
produzione e dell’occupazione dei lavoratori”; secondo il modello
di teoria economica prevalente al quale si rifà Blanchard nelle sue
analisi, ciò significa che un aumento del livello dei salari, oltre
quello determinato dalla configurazione di equilibrio del mercato,
ha come effetto inevitabile una caduta della produzione e
dell’occupazione. L’implicazione politica di questa conseguenza è
che il “conflitto sociale”, volto a conseguire un livello dei
salati oltre quello di equilibrio, può produrre solo
instabilità.
Malgrado questa posizione di fondo espressa nel suo manuale di
macroeconomia, Blanchard ha spesso “deviato – afferma Brancaccio –
dall’ortodossia”, a volte assumendo che la distribuzione del
reddito tra salari e profitti sia una variabile esogena” al “nucleo
centrale della sua analisi”; in altri casi, si è spinto persino
oltre, arrivando ad “ipotizzare che quella distribuzione del
reddito non solo fosse esterna all’analisi, ma non presentasse
nemmeno un legame univoco con l’andamento della produzione e
dell’occupazione”. La deviazione di Blanchrd dall’ortodossia spinge
Brancaccio a sostenere che quando l’ex direttore del “Fondo” assume
che “la distribuzione del reddito tra salari e profitti sia una
variabile esterna all’analisi”, arrivando anche ad ipotizzare che
“tale distribuzione non sia univocamente legata ad uno specifico
livello di produzione e di occupazione”, viene prospettata
un’analisi che risulta aperta “agli approcci alternativi” facenti
capo alla “tradizione eretica” di quegli economisti che condividono
la critica di Piero Sraffa alla teoria economica neoclassica.
Com’è noto, secondo gli sraffiani – continua Brancaccio – non
esiste alcuna relazione efficiente, tra la produzione e la
distribuzione del reddito, nel senso che non esistono “livelli dei
salari, dei profitti e degli interessi che siano tali da garantire
una produzione e un’occupazione massime, dati i vincoli esistenti”;
in conseguenza di ciò, l’assunto neoclassico dell’esistenza di un
“intimo legame” tra produzione e distribuzione del reddito “sfuma,
si complica, perde la sua naturale neutralità tecnica e diventa
motivo di conflitto sociale e politico”. Quali sono le implicazioni
generali di tutto questo discorso, si chiede Brancaccio? La
risposta è che esse (le implicazioni) danno fondamento a quanto
Blanchard, insieme a Larry Summers, ha recentemente affermato,
evocando “la possibilità di una ’evoluzione’, e magari addirittura
di una ‘rivoluzione’, della politica economica prossima ventura”,
consistente nell’”opportunità di sostenere e di stabilizzare i
livelli di occupazione utilizzando la spesa pubblica per
investimenti, e in generale la politica espansiva di bilancio
pubblico”. Nell’ambito del pensiero economico tradizionale, osserva
Brancaccio, si “tratta di una presa di posizione importante”.
Una simile “rivoluzione”, però, avverte Brancaccio, è legata
all’ipotesi che in futuro il tasso di interesse si collochi
stabilmente al di sotto del tasso di crescita economica; ciò perché
solo in questo modo si potrebbe avere una riduzione delle
disuguaglianze distributive, una diminuzione del peso dei debiti e
il continuo intervento del settore pubblico nell’economia. Ma per
tenere il tassi d’interesse sotto la crescita, occorre una politica
monetaria non vincolata da esigenze anti-inflazionistiche, che
eserciti un controllo sui movimenti di capitale e, soprattutto,
assuma un orientamento antideflazionistico, per evitare “ai salari
e ai prezzi di cadere”. L’esclusione della deflazione dei salari e
dei prezzi dalla “cassetta degli arnesi degli economisti” è stata
uno “degli insegnamenti di fondo della principale ‘rivoluzione’”
occorsa nella politica economica tradizionale attuata nei regimi
capitalistici.
Si tratta della “rivoluzione” operata da John Maynard Keynes, cui
si rifanno sia Summers che Blanchard, i quali peraltro affermano
che sarebbe “un bene che tale ‘rivoluzione avvenisse”, per poi
aggiungere di non essere certi che ciò possa accadere. Il loro
dubbio è spiegato da Brancaccio, che osserva come Keynes sia stato
“figlio di un’epoca straordinaria, segnata dal grande conflitto di
sistema tra capitalismo e socialismo”; la creatività scientifica di
Keynes sarebbe stata, secondo Brancaccio, forgiata
“dall’antagonismo tra quei due grandi sistemi di vita sociale”, nel
senso che le sue idee sono state modellate su “ quella storica
contesa”. Ora, però, poiché la minaccia socialista è venuta a
mancare, è lecito nutrire il dubbio che possa avvenire una nuova
rivoluzione keynesiana; è quindi plausibile, date le condizioni
sociali oggi esistenti, pensare che una rievocazione
dell’esperienza vissuta dopo gli anni Trenta del secolo scorso sia
un problema aperto, non solo per coloro che condividono le analisi
e le proposte di Brancaccio, ma anche per il dubbio nutrito da
Larry Summers e Olivier Blanchard.
Quest’ultimo, dal canto suo, pur riconoscendo ad Emiliano
Brancaccio d’aver sollevato importanti problemi nella sua critica
al modello standard della teoria economica, conferma la validità,
sia pure sotto certe condizioni, di tale modello. Per me – egli
afferma – “l’unico modo di cercare di garantire il benessere di un
mondo popolato da 7 milioni di persone che non sia completamente
caotico richiede la presenza di mercati”, riconoscendo però che i
mercati non forniscono soluzioni efficienti in determinati campi,
quali quelli della salute e dell’educazione. Per questo motivo,
secondo Blanchard, “la soluzione non può che essere una
combinazione di mercati e regole statali”. Tuttavia, egli non crede
che la soluzione debba essere sempre la stessa, dipendendo essa “da
come evolve il mondo”.
Fatta questa premessa e passando all’argomento economico, che
dichiara di conoscere meglio, Blanchard sottolinea il fatto che le
politiche macroeconomiche sono quanto di meglio è stato possibile
apprendere a fronte degli avvenimenti successivi alla Grande
Recessione, scoppiata nel 2007/2008; ciò che è accaduto nell’ultimo
decennio, a parte i segni visibili all’interno dei diversi sistemi
economici coinvolti e la diffusione del populismo, è l’aggravarsi
del fenomeno delle disuguaglianze distributive, da cui, a parere di
Blanchard, sono state tratte cinque lezioni.
La prima di queste è consistita nel riconoscimento, da parte dei
macroeconomisti, dell’importanza del settore finanziario, nel senso
che si è accettato che, per un razionale governo del ciclo
economico, il funzionamento del settore finanziario deve essere
considerato in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue interazioni
con gli altri settori. La seconda lezione ha consentito di appurare
che per il governo dell’economia dal punto di vista macroeconomico
sono necessari diversi strumenti, efficaci solo se bene usati. La
terza lezione ha portato alla comprensione che una politica di
regolamentazione può avere successo, solo se si riesce a
contrastare la propensione da parte degli operatori economici ad
eluderla, perché convinti, cos’ operando, di poter raggiungere
meglio i loro obiettivi. La quarta lezione è derivata dal
definitivo riconoscimento che le economie colpite da motivi di
instabilità non possono tornare spontaneamente alla normalità.
Infine, k’ultima lezione ha fatto maturare la consapevolezza che
l’instabilità politica, dovuta alla diffusione dei movimenti
populisti, ha come cause principali le disuguaglianze distributive
e l’insicurezza economica, determinata quest’ultima dai contratti a
breve termine, che impediscono ai lavoratori di conoscere per
quanto tempo potranno disporre con continuità di un reddito da
lavoro.
Tra le cinque lezioni, la più importante è la quinta, concernente
le disuguaglianze distributive e dell’insicurezza economica, e
sicuramente anche quella che solleva i maggiori interrogativi circa
gli strumenti di politica economica da adottare per contrastare
tali fenomeni. Di essi già si aveva contezza; ma in passato –
afferma Blanchard – prevaleva l’”idea che alti livelli di crescita
facessero evolvere tutti, non tutti allo stesso modo, ma comunque
tutti avrebbero guadagnato qualcosa. Questo era vero ma non lo è
più”. Ciò accade, secondo il macroeconomista francese, per due
motivi: in primo luogo, perché la crescita della produttività è
diminuita nel lungo periodo; in secondo luogo, perché l’aumento
delle disuguaglianze e dell’insicurezza economica è dovuto al
progresso tecnologico dei processi produttivi indotto dalla
globalizzazione. Nel complesso, conclude Blanchard, i governi
dispongono ora della conoscenza necessaria per combattere
l’aggravarsi di questi; ma perché il contrasto risulti efficace
occorrerà ricorrere a “misure più forti” rispetto a quelle adottate
nel passato; è questa – egli dice – la direzione seguendo la quale
è possibile operare i cambiamenti di politica economica, nella
speranza che essi siano sufficienti per evitare future
catastrofi.
Strane conclusioni quelle che sono emerse dal confronto delle idee
di Emiliano Brancaccio e di Olivier Blanchard sulla crisi del
capitalismo contemporaneo: per il primo, la soluzione della crisi
richiederebbe cambiamenti dei modelli economici esplicativi del
funzionamento del capitalismo fondati su una nuova sintesi
dell’esperienza keynesiana (resa però impossibile dalla mancanza
della necessaria conflittualità sociale nel mondo contemporaneo ad
economia di mercato); per il secondo, invece, la soluzione della
crisi, indotta principalmente dall’aggravamento delle
disuguaglianze distributive e dall’insicurezza economica, non
richiederebbe alcun cambiamento dei modelli teorici, ma solo misure
di politica economic più efficaci, nella speranza che siano
sufficienti per evitare crisi future del tipo di quella
sperimentata nell’ultimo decennio.
Da confronto tra le due analisi, il lettore può trarre il
convincimento che le modalità di funzionamento delle società
capitalistiche ad economia di mercato siano destinate a durare
anche in futuro, finché il conflitto sociale non provocherà i
cambiamenti sperati d’ispirazione keynesiana, oppure le misure di
politica economica non risulteranno più efficaci che nel passato.
Troppo poco per porre rimedio al disagio politico, sociale ed
economico che sta affliggendo molti Paesi capitalisticamente
avanzati.
Sarda News non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità nei suoi contenuti originali. La responsabilità del contenuto degli articoli importati dai feed rss è totalmente a carico della reale fonte dell'informazione indicata al termine di ogni notizia.
Sardanews.it è un portale web privato, non gode di finanziamenti pubblici, non chiede registrazioni personali agli utenti, totalmente gratuito, non si paga l'accesso al sito grazie al fatto che è autofinanziato e sostenuto dalla semplice pubblicità che compare tra gli annunci. Se vuoi sostenerci ti ringraziamo per la fiducia e ti invitiamo a disabilitare eventuali adblock attivi sul tuo browser.
-
“Sarda Rivoluzione”? Spunti per un’analisi del triennio 1793/1796< Indietro
-
I figli del super prolifico AilantoAvanti >