Gianna Lai
Anche oggi, come ogni domenica, appuntamento con la storia di
Carbonia, dal 1° settembre
2019.[1]
Alta nocività e continuo rischio, sempre pericoloso
resta il lavoro del minatore, e sempre “in continuo aumento i
casi di silicosi polmonare, fino alle spaventose cifre registrate
tra gli anni Quaranta e Cinquanta”, in Sardegna, come dice il
professor Duilio Casula nel già citato saggio, ‘Le malattie dei
minatori’, in riferimento agli anni del fascismo. Ma se non
cambiano di molto le cose nell’Italia della Repubbica, vale la pena
riprendere il discorso, dato che solo adesso vengono dapertutto
“avviate nuove misure di prevenzione tecnica di una certa
efficienza”. Avendo ben chiarito, fin da subito, che
“l’attività estrattiva è da sempre considerata una delle più
pericolose e malsane”, il professore così descrive i cambiamenti
della miniera: “la completa sostituzione della perforazione a secco
con il sistema della perforazione ad acqua (iniettata ad alta
pressione),… e l’introduzione di sistemi di ventilazione più
efficienti,.. hanno contribuito, in maniera particolare, a ridurre
in modo notevole la concentrazione ambientale di polveri, il cui
accumulo nei polmoni è la causa fondamentale dell’insorgere della
silicosi e delle altre pneumoconiosi. Nel corso degli anni altri
miglioramenti tecnici sono stati introdotti, …. con l’applicazione
di una tecnologia basata sopratutto su una meccanizzazione sempre
più accentuata dei metodi di coltivazione”. Tuttavia,
prosegue il professore, “queste innovazioni comportano anche, in
campo igienico ambientale, assieme ai lati positivi, riflessi
negativi, come ad esempio un aumento, nell’ambiente di lavoro, di
inquinanti gassosi, provenienti sopratutto dagli scarichi dei
motori diesel, sempre più largamente utilizzati nel sottosuolo”. Né
ha ridotto, la nuova tecnologia, “il numero delle altre affezioni
polmonari, venute quasi del tutto meno le forme più gravi della
pneumoconiosi; molto frequenti tra i minatori, la bronchite cronica
e l’enfisema polmonare, affezioni, peraltro, dovute a cause
molteplici sia di natura professionale che extra professionale”. E
vi si aggiugono altre affezioni, “legate alle vibrazioni meccaniche
ed ai rumori, [le prime] sono generate da strumenti vibranti, come
le perforatrici pneumatiche e vengono assorbite prevalentemente
dagli arti superiori (che maneggiano lo strumento) e dal tronco,
dando luogo prevalentemente a manifestazioni vascolari ed
osteoarticolari. Il rumore è uno dei rischi tradizionali
dell’industria mineraria, ma è stato per molto tempo sottovalutato
e del tutto trascurato per quanto riguarda controlli sanitari e
igienico ambientali. L’effetto più grave del rumore è quello di
lesioni all’organo dell’udito e il numero dei minatori colpiti da
sordità, da trauma acustico è ancora oggi estremamente elevato”. E
poi i “danni dovuti agli atteggiamneti posturali,…le condizioni
microclimatiche, comunque sfavorevoli, la presenza di allergeni e
irritanti, la irregolarità dei pasti, legata agli speciali turni di
lavoro. E ci si chiede allora, conclude a questo punto il professor
Duilio Casula, se la condizione del minatore, nel suo complesso,
non possa favorire l’insorgere di malattie e disturbi non
completamente configurabili come malattie professionali”. A partire
anche dalle gastroenteriti dovute alle pessime condizioni igienico
sanitarie nelle gallerie e dall’artrosi reumatica, che non
vengono indennizzate dall’Istituto assicuratore, in quanto
anch’esse escluse dal campo delle malattie professionali 1). Certo
i pessimi sistemi definiti dalla legislazione sanitaria allora
vigente non garantiacono cure adeguate, né consentono al minatore
malato di curarsi come si deve. Ancora solo un terzo della paga
dopo i primi 3 giorni di malattia, che l’operaio perde
completamente “dopo tre mesi di malattia e,se non possiede un
determinato numero di marchette viene completamente abbandonato a
se stesso”, si legge su Rinascita nel numero del 6 giugno 1948 2).
Che denuncia come gli stessi operai non fossero favorevoli
agli accertamenti delle malattie professionali in quanto, una
volta riconosciute, comportavano l’allontanamento del lavoratore
dalla miniera. E denunciava ancora Rinascita come mancassero
totalmente le strutture destinate ai malati di tubercolosi
polmonare o di malaria, così diffuse tra i minatori, “che
continuano a vivere in famiglia o negli alberghi operai, fianco a
fianco con le persone sane”.
Ancora la mancanza di servizi caratterizza la miniera,
condizioni igienico-sanitarie proibitive nelle gallerie,
pochissime le docce e i bagni nei cantieri, in entrata e in uscita
dai turni. Uno stipetto negli edifici del piazzale, l’unico spazio
destinato a ciascuno, mancando gravemente i cantieri persino dei
locali per il cambio degli indumenti.
Come ai tempi del fascismo e dell’occupazione alleata, l’azienda
chiede semplicemente di produrre ancora di più. Forza bruta da
sfruttare al massimo nel bisogno del momento, provvisorietà della
miniera e incompiutezza che non mette conto di risolvere, date le
previsioni sull’andamento dei mercati e il modificarsi del quadro
politico a favore del carbone americano ed europeo.